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Né stranieri né immigrati. Le seconde generazioni in Umbria: un modello virtuoso di inclusione?

Né stranieri né immigrati. Le seconde generazioni in Umbria: un modello virtuoso di inclusione?
12 Nov 2024

Una ricerca dell’Agenzia Umbria Ricerche – AUR
Alessandro Campi: “L’Umbria come laboratorio virtuoso di accoglienza e inclusione”

Perugia, 12 novembre 2024
//A tutte le redazioni con preghiera di diffusione//

I processi di arrivo, di inserimento e nascita di nuove generazioni e di nuove famiglie con background migratorio caratterizzano il nostro vissuto e implicano continui percorsi di analisi critica, di riflessione e di scelta condivisa di azioni. Per questo l’Agenzia Umbria Ricerche ha deciso di non sottrarsi al pensare a una tale realtà così pervasiva. Una realtà che ci pervade, e al tempo stesso ci connota. In passato l’Agenzia aveva affrontato tematiche che riguardavano le analisi su questioni incentrate sull’immigrazione in Italia e nella nostra regione, con focus su percorsi di integrazione e di inclusione in cui si sottolineava che l’immigrazione in Umbria si stava sempre più trasformando per gli immigrati da esperienza di passaggio a esperienza stanziale.

Oramai, dati alla mano, e percorrendo le strade delle nostre città, siamo tutti d’accordo: l’immigrazione straniera in Italia, e anche nella nostra regione, è entrata in una fase più matura, caratterizzata dalla progressiva stabilizzazione sul territorio dei nuovi arrivati. La crescita e la stabilizzazione del fenomeno migratorio verso l’Italia ha prodotto, tra le altre conseguenze, un forte incremento della presenza di minori stranieri sul territorio.

Il segnale più evidente di questo passaggio è dato, per l’appunto, dalla crescente presenza del contingente dei figli di immigrati. Come sottolinea il Prof. Alessandro Campi nell’introduzione della nuova ricerca dell’AUR, il titolo Né stranieri né immigrati. Le seconde generazioni in Umbria: un modello virtuoso di inclusione? – dice già molto dell’interpretazione che l’Istituto di ricerche regionale intende proporre all’attenzione del dibattito pubblico. Nel senso che la gran parte di questi giovani, indipendentemente dagli aspetti legali connessi al riconoscimento formale della cittadinanza, sono già – a modo loro – umbri e dunque italiani. Tali si sentono e/o si percepiscono e definiscono, pur con tutte le specificità (non scevre da difficoltà e dubbi) che risultano dalle testimonianze che sono state raccolte.

Attraverso un mix di indagini quantitative tradizionali e di focus qualitativi mirati (avendo come protagonisti operatori socioculturali, docenti, studiosi e, naturalmente, gli stessi giovani) quello che emerge è un quadro, non solo aggiornato, ma altamente espressivo di come anche in Umbria si stiano lentamente modificando gli equilibri socio-demografici, per fortuna senza quei tratti di conflittualità più o meno scoperta che si registrano, ormai da anni, in altri contesti territoriali, dentro e fuori l’Italia. Segno, evidentemente, che esiste in Umbria un tessuto relazione consolidato che ha reso più agevoli i processi di inserimento degli immigrati di prima e seconda generazione. Ma segno altresì di un modo di affrontare il problema che a livello politico-istituzionale in Umbria non è stato mai giocato in chiave di allarme sociale, ma di pragmatica responsabilità. Esistono ancora sacche di marginalità e forme di esclusione/discriminazione che non dipendono solo dal persistere di antichi pregiudizi, ma anche dalla difficoltà a strutturare percorsi di “interazione/inclusione/scambio/dialogo” effettivamente virtuosi ed efficaci. La scuola, al netto di ogni possibile politica sociale a ciò finalizzata, resta lo strumento più importante di interazione individuale e collettiva. È tra i banchi di scuola che si instaura una varietà di rapporti con i coetanei, si allacciano amicizie e si formano gruppi. Un efficace processo di integrazione e inclusione non può quindi prescindere da un’adeguata politica dell’istruzione, volta ad una educazione interculturale che promuova il pluralismo e la diversità.

La ricerca multi-metodo realizzata dall’AUR, condotta dal ricercatore Mario Acciarri, si basa su un’indagine di campo che si è andata sviluppando attraverso canali differenti: focus group, interviste in profondità e la somministrazione di un questionario (online ed in presenza). Si è cercato di indagare numerosi aspetti dei giovani con background migratorio, tra cui: la famiglia di origine e l’eventuale percorso migratorio; la costruzione dell’identità e l’avere o meno la cittadinanza; le problematiche più sentite e le prospettive di vita future; la relazione tra genitori e figli, ed il network amicale; l’inserimento nel sistema scolastico ed eventuali episodi di discriminazioni subiti; gli interessi e la partecipazione ad associazioni sociali, sportive, culturali, di volontariato; le competenze linguistiche.

Attraverso la ricerca dell’AUR si è riusciti ad ascoltare 242 ragazzi con background migratorio e 160 senza background migratorio. In totale, quindi, sono più di 400 i ragazzi raggiunti, e che risultano residenti in quasi 30 comuni dell’Umbria. Il background migratorio dei ragazzi intervistati rispecchia quello delle comunità straniere più importanti, in termini numerici, presenti in Umbria: Romania, Marocco, Albania e Macedonia. Non manca il pensiero degli ecuadoriani e dei peruviani. Si tratta di un bel mélange di culture che caratterizza l’Umbria.

Sono ragazzi con background migratorio che per lo più frequentano il secondo ciclo di istruzione, in diversi percorsi: licei, istituti tecnici, istituti professionali e di istruzione e formazione professionale della Nostra regione. In molti, pur avendo un background migratorio, non hanno sperimentato in prima persona un viaggio: sono nati e cresciuti in Italia. Se in molti sono nati in Italia, in molti non hanno ancora la cittadinanza italiana. La mancanza di requisiti costituisce la principale motivazione alla base del non avere ancora la cittadinanza italiana, seguita dall’essere in attesa, dopo averne avanzato richiesta. Vanno fieri del proprio background migratorio e ritengono che sia importante conoscere le proprie origini, la lingua e la cultura dei genitori. L’82% del campione pensa di avere due o più culture coniugate in sé, sentendosi straniero e italiano al tempo stesso. La loro visione della società e i momenti di inclusione e di discriminazione spesso collimano con i pensieri dei cosiddetti “autoctoni”.

Pensando al futuro? Quasi il 70% dei ragazzi con background migratorio valuta la scelta fatta dai familiari di vivere in Italia positivamente, “come una risorsa da sfruttare”.

Detto ciò, nel pensare al proprio futuro e a dove piacerebbe vivere, ben un 47% immagina di andare all’estero. A questi si aggiunge un 11% che ipotizza di restare in Italia, ma in un’altra città. In questo proiettarsi v’è un 32% di ragazzi e ragazzi indecisi, che “non sa ancora”. Il pensare di rimanere dove si abita interessa un 10%. Questo immaginario, anche se in misura più contenuta, si ritrova anche nei ragazzi senza background migratorio.

Sulla base di queste risultanze potremmo dire che molti giovani – con o senza background migratorio – pensano al proprio futuro con le valigie in mano. Queste sono solo alcune delle risultanze che emergono dalla ricerca promossa dall’AUR.

In più, le interviste ai testimoni privilegiati hanno permesso di mettere in luce “concetti chiave” da tenere in considerazione per pensare insieme a possibili azioni d’intervento valide a livello locale e nazionale.

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