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Giuseppe Coco
Agenzia Umbria Ricerche
Focus AUR
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Giovani umbri: una generazione che si assottiglia

15 Mag 2025
Tempo di lettura: 5 minuti

In Umbria, come in gran parte del Paese, la generazione dei più giovani sta diventando una presenza sempre più “sottile”. Non è solo una riduzione numerica: è uno spostamento radicale del baricentro generazionale. Il corpo sociale si sta riformattando in silenzio, come se il tempo stesso avesse iniziato a scorrere in modo diverso, inclinando l’equilibrio delle età verso l’alto.

Gli indicatori aggiornati al Censimento permanente 2023 ci restituiscono diverse fotografie nitide di queste mutazioni. Una delle più eloquenti riguarda la rarefazione della popolazione infantile nei piccoli comuni: in almeno dieci di questi, i bambini tra 0 e 9 anni sono meno di cinquanta. In alcuni casi, si scende persino sotto i trenta residenti in questa fascia d’età.

Sono numeri che dicono molto. Parlano di un territorio che, in ampie porzioni, ha già oltrepassato la soglia del ricambio generazionale. È lì, nella parte bassa della piramide anagrafica, che si manifesta una rarefazione destinata a propagarsi: prima alle classi scolastiche, poi al mondo giovanile e infine all’intero corpo sociale. Perché i bambini che oggi mancano sono i giovani che domani non ci saranno.

Se allarghiamo l’analisi alla popolazione tra 0 e 14 anni si vede che rappresenta oggi l’11,3% del totale. Nel 2004, questa stessa fascia d’età costituiva il 12,3% della popolazione regionale. In termini assoluti, parliamo di una perdita di circa 13.000 giovani nell’arco di vent’anni. Una dinamica apparentemente lenta, ma che nel lungo periodo produce squilibri irreversibili. Tant’è che oggi in Umbria a fronte di circa 149.000 persone tra 0 e 20 anni, ce ne sono 260.000 nella fascia 41-60: un divario che supera le 110.000 unità, segno di uno squilibrio generazionale strutturale ormai conclamato.

La curva discendente della natalità accompagna, e in parte spiega, questa rarefazione giovanile. Tra il 2008 e il 2024, il tasso di natalità in Umbria è passato da 9,5 a 5,5 nati per mille abitanti, una riduzione superiore al 40%. Si tratta di una delle flessioni più marcate d’Italia.

Anche il numero medio di figli per donna conferma la criticità del quadro: nel 2024 l’Umbria si attesta attorno a quota 1,1, ben lontana dalla soglia di 2,1 necessaria al ricambio generazionale. La denatalità non è episodica, non è un effetto passeggero della crisi o della pandemia: è una tendenza strutturale, radicata nei meccanismi economici, sociali e culturali che regolano la transizione alla vita adulta.

Volendo entrare maggiormente nelle dinamiche delle mutazioni in corso, a cascata abbiamo che la diminuzione dei giovani produce una crescente sproporzione tra popolazione attiva e inattiva. L’indice di dipendenza strutturale dell’Umbria è passato dal 54,9% del 2004 al 62,1% del 2024, con un incremento di oltre 7 punti percentuali. L’indice di vecchiaia ha superato quota 237, con oltre 2,3 anziani ogni giovane. Gli over 65 umbri ruotano intorno al 28%. E se la tendenza continua, si supererà presto la soglia critica del 30%, oltre la quale l’equilibrio intergenerazionale rischia di diventare instabile.

Se ne ricava un sistema sociale che non può non manifestare segnali di crescente tensione: da un lato aumentano le esigenze sanitarie, pensionistiche e assistenziali legate all’invecchiamento della popolazione; dall’altro, si assiste a una progressiva contrazione della base fiscale su cui poggiano i sistemi di protezione. Morale. Ne deriva una pressione crescente sulla sostenibilità del welfare regionale, determinata appunto da una dinamica demografica strutturalmente sbilanciata.

Inoltre, a rendere ancora più fragile la presenza giovanile – e non è affatto un aspetto secondario – ci pensa anche la mobilità in uscita. Molti giovani umbri scelgono di lasciare la regione per trasferirsi altrove in Italia o all’estero, attratti da opportunità formative e lavorative che il contesto locale fatica a offrire. Si tratta di un fenomeno, che si protrae da anni e coinvolge in modo particolare la fascia tra i 20 e i 39 anni. I dati più solidi a nostra disposizione – riferiti al periodo 2001-2021 (Istat) – mostrano una perdita di oltre 26.000 residenti in questa classe di età. Un’emorragia silenziosa, ma costante: partono, anno dopo anno, senza che il territorio riesca davvero a trattenerli – e spesso, chi parte, non torna più.

Uno dei primi ambiti in cui questa trasformazione si riflette in modo evidente è la scuola. Il sistema scolastico regionale, infatti, si è già contratto in modo significativo: in dieci anni sono scomparse centinaia di classi e decine di plessi, soprattutto nelle aree interne. Le scuole umbre hanno perso circa 9.000 studenti nell’ultimo decennio. Una riduzione di oltre il 7% che, al di là della cifra, si traduce in aule semivuote, sezioni accorpate, bambini costretti a spostarsi altrove per studiare. È dentro queste dinamiche, all’apparenza scolastiche, che si misura con chiarezza la portata del cambiamento demografico in atto.

Inoltre, le proiezioni demografiche suggeriscono che la rarefazione giovanile non si limiterà alla scuola dell’obbligo, ma potrà progressivamente riflettersi anche sui livelli formativi successivi. In un tale scenario, il rischio non riguarda soltanto la tenuta quantitativa della popolazione studentesca, ma l’indebolimento di una delle funzioni più vitali che i giovani assolvono nei territori: quella di tenere aperti gli spazi della cultura, della ricerca, dell’innovazione. Dove c’è presenza studentesca, infatti, il tessuto sociale si rinnova, si connette con il futuro, mantiene viva una dinamica di scambio e progettazione collettiva.

In ultima istanza, ma non certo per importanza, a risentire direttamente e negativamente di questa dinamica è – e non potrebbe essere altrimenti – il mercato del lavoro regionale. Meno giovani disponibili significa minore capacità di innovare, di adattarsi ai nuovi paradigmi tecnologici. Il tessuto imprenditoriale umbro, già fragile e fortemente orientato alla microimpresa, si espone così a un crescente rischio di obsolescenza. Il ricambio generazionale rallenta o si inceppa in molti ambiti strategici: nei mestieri, nella pubblica amministrazione, nelle libere professioni, nel settore artigiano. E, come ha messo in luce Elisabetta Tondini [Retribuzioni giovanili in Umbria: evidenze strutturali di un divario persistente], accanto alla rarefazione anagrafica si consolida un divario retributivo che alimenta la penalizzazione proprio delle nuove generazioni. I giovani umbri, pur più scolarizzati, entrano nel mercato del lavoro con retribuzioni più basse rispetto al passato e con un differenziale crescente rispetto agli adulti. È una forbice che si allarga e che va ad erodere motivazioni, autonomia, capacità di radicamento. In un contesto dove le opportunità di carriera sono spesso limitate, questo scollamento nel “valore” attribuito al lavoro rischia di trasformarsi nella spinta decisiva verso la perdita definitiva di capitale umano. D’altronde, meno giovani restano, meno dinamico è il tessuto socio-economico, meno attrattivo diventa il territorio.

Per concludere
La rarefazione giovanile si intreccia con la questione dello sviluppo regionale. Senza giovani, non solo manca la popolazione attiva: viene meno la spinta al cambiamento, alla sperimentazione, alla costruzione del nuovo. Una regione con sempre meno giovani rischia di diventare una società bloccata, incapace di rigenerarsi.

Comprendere la profondità di questo cambiamento è il primo passo per immaginare risposte adeguate. Non si tratta solo di “avere più figli” o di “trattenere i giovani”. Si tratta di ricostruire un patto sociale che renda l’Umbria un luogo desiderabile: un luogo dove vivere, crescere, innovare. Un luogo capace di futuro, non solo di memoria. Un luogo dove i giovani possano scegliere di restare, o di tornare.

 


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