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Tondini
Elisabetta Tondini
Agenzia Umbria Ricerche
Focus AUR
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Mauro Casavecchia
Agenzia Umbria Ricerche

In crescita l’export umbro, anche verso gli Usa. Ma sul futuro pesa l’ombra dei dazi

17 Mar 2025
Tempo di lettura: 5 minuti

Il 2024 è stato un anno positivo per l’export umbro che, con 5,9 miliardi di euro di fatturato, ha segnato un aumento nominale del 5,3%, in controtendenza rispetto al calo registrato dall’Italia (-0,4%).

La spinta più importante alla crescita è stata data dai prodotti alimentari e dagli articoli di abbigliamento, anche di quelli in pelle, che si dividono il 30% del fatturato realizzato lo scorso anno e contribuiscono all’aumento dell’export rispettivamente per 2,5 e 2,2 punti percentuali. In crescita, e in controtendenza rispetto alla contrazione nazionale, i prodotti della metallurgia (ma la quota sul totale staziona al 17,5%) e anche dei mezzi di trasporto i quali, considerati nel complesso, hanno contribuito all’incremento dell’export con 0,7 punti percentuali. In forte crescita anche la vendita all’estero di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche che, seppure voce residuale per l’Umbria, ha contribuito per altrettanti 0,7 punti percentuali alla crescita dell’export regionale nel 2024.

L’Umbria ha invece seguito l’andamento negativo nazionale dei macchinari e apparecchiature, che tuttavia si confermano la voce principale dell’export umbro (oltre che di quello italiano), assorbendo quasi un quinto del totale realizzato dalle vendite nel mondo.

Il mercato statunitense
In questo quadro generale, come sono andate le vendite verso il mercato statunitense? Gli Usa per l’Umbria continuano a rappresentare un mercato di sbocco sempre più importante, in crescita nell’ultimo triennio sia in valore assoluto che come quota: l’aumento nominale nel 2024, pari al 9,8% (734 milioni di euro il fatturato realizzato), è stato ben più sostenuto di quello che ha segnato la dinamica delle esportazioni totali. Non altrettanto positiva è stata la performance per l’Italia, le cui vendite verso gli Stati Uniti d’America nel 2024 hanno registrato una contrazione del 3,6%.

Gli Stati Uniti si riconfermano anche nel 2024 il secondo paese, dopo la Germania, per l’export umbro, erodendo lentamente punti al principale mercato di sbocco della regione: dal 2022 al 2024 la quota tedesca passa infatti dal 19,9% al 16,4%, quella statunitense dal 10,5% al 12,4%.

In termini di capacità di generare Pil, ad oggi i flussi esportativi dell’Umbria verso il mercato statunitense hanno una ricaduta dell’ordine dell’1,8%.

La voce più importante dell’export umbro verso gli Usa è rappresentata dai macchinari e apparecchiature che, seppure in lieve calo, ricoprono il 37,2% del fatturato realizzato nel mercato statunitense e quasi un quarto del totale umbro del settore. La seconda voce più appetita è quella dei prodotti dell’abbigliamento, anche di quelli in pelle, che arrivano a superare il 30% dell’export umbro colà diretto e costituiscono il 27,6% dei prodotti dell’abbigliamento complessivamente esportati dall’Umbria. La terza voce più esportata verso gli Usa è rappresentata dai prodotti alimentari (7,8% del totale), che però hanno subito un forte calo nell’ultimo anno. Invece in aumento la vendita dei mezzi di trasporto (sia autoveicoli, rimorchi e semirimorchi che altri) che insieme rappresentano il 6,1% del totale esportato negli Usa.

La questione dazi
All’avvio del secondo mandato, il presidente americano Donald Trump ha annunciato l’introduzione di “tariffe doganali del 25% sui prodotti europei”, oltre che dazi addizionali sui prodotti provenienti da Canada, Messico e Cina. Al momento, la minaccia nei confronti dell’Europa si è concretizzata con la reintroduzione di tariffe al 25% – entrate in vigore dal 12 marzo – su prodotti in acciaio e alluminio. Tali dazi, introdotti già dal 2018, seppure con aliquote ridotte al 10%, erano stati sospesi per alcuni paesi “amici”, tra cui quelli Ue.

Le merci attualmente colpite comprendono diversi tipi di semilavorati e prodotti finiti, come tubi in acciaio, filo metallico e fogli di stagno, ma anche altri prodotti derivati (articoli per la casa, pentole, infissi) e diversi macchinari – solo in parte derivati da acciaio e alluminio – come attrezzature da palestra, alcuni elettrodomestici o mobili.

Per l’Umbria, i settori coinvolti nella produzione delle merci già sottoposte ai dazi comprendono sostanzialmente metallurgia e prodotti in metallo, macchine, apparecchi e attrezzature, mezzi di trasporto, mobili. Complessivamente, pesano per la metà del fatturato regionale esportato verso gli Usa, una quota che incide per 0,9 punti percentuali sulla formazione del Pil regionale.

Alle ritorsioni già varate dall’Unione europea, indirizzate verso le importazioni dagli Usa per un analogo valore di 26 miliardi, l’amministrazione americana ha già risposto minacciando un’estensione della lista dei prodotti europei che saranno presi di mira. Nello specifico, il presidente Usa ha annunciato l’imposizione di dazi del 200% su tutti i vini, champagne e prodotti alcolici europei. L’eventualità di un ulteriore allargamento dei dazi aumenta le preoccupazioni sulle ripercussioni di questa guerra commerciale sull’economia italiana e, nello specifico, umbra.

I settori potenzialmente più esposti sono quelli per i quali il mercato statunitense è particolarmente rilevante. Tra le categorie merceologiche che nel 2024 hanno realizzato negli Usa il maggior fatturato, quelle per le quali lo sbocco di mercato americano presenta un’incidenza superiore alla media regionale (12,4%) comprendono settori fondamentali dell’economia umbra, come l’aerospazio, le bevande, i macchinari, la moda. Le esportazioni umbre di vino e bevande alcoliche negli Stati Uniti valgono, da sole, oltre 13 milioni di euro, circa l’1,8% dell’export totale.

I danni causati dall’inasprimento delle relazioni commerciali rischiano di aggravare una situazione economica già complessa, con la produzione industriale in calo da diversi mesi. Innanzitutto, per effetto della crescente incertezza sull’evoluzione dei rapporti commerciali ed economici tra i paesi, che frena la dinamica degli scambi mondiali e rallenta ulteriormente l’attività industriale.

L’aumento delle tariffe genera poi contraccolpi a catena, determinando un aumento dei prezzi sul mercato statunitense, una conseguente riduzione delle esportazioni di prodotti chiave, l’incremento delle giacenze nei magazzini con svalutazione della merce. Ne consegue una riduzione di produzione, occupazione e investimenti, tanto più grave in un sistema caratterizzato dalla presenza di piccole e medie imprese che non dispongono della capacità finanziaria per assorbire i costi aggiuntivi dei dazi o per trasferire rapidamente la produzione in territorio americano.

 

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