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Tondini
Elisabetta Tondini
Agenzia Umbria Ricerche
Focus AUR
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Le basse remunerazioni del lavoro in Umbria: caratteri, cause, implicazioni

18 Gen 2024
Tempo di lettura: 7 minuti
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Quanto ai differenziali di genere, fenomeno particolarmente presente nel nostro Paese, si è scelto di effettuare il confronto sulle retribuzioni medie del lavoro standard a “giornata”, proprio per depurare il dato dalla minore presenza sul luogo di lavoro da parte delle donne. Si ricorda che la minore presenza femminile di giornate retribuite è (anche) conseguenza della maggiore diffusione del part-time che, in Umbria, nel 2022 ha interessato la metà di esse (49 per cento su base nazionale); invece, tra gli uomini, la quota di coloro che hanno avuto almeno un contratto a tempo parziale nell’anno non raggiunge il 18 per cento (21 per cento in Italia).

Le donne umbre guadagnano meno degli uomini umbri, ma anche meno delle donne italiane; tuttavia, i differenziali territoriali Umbria/Italia, trasversalmente diffusi per qualifiche, sono più elevati in corrispondenza della compagine maschile. In presenza di minimi retributivi definiti dai contratti nazionali che pongono un limite alla flessibilità verso il basso, la minore sperequazione di genere in Umbria è evidente conseguenza dell’appiattimento verso il basso delle retribuzioni maschili nella regione. Un fenomeno che non sembrerebbe attenuarsi, anzi: il confronto tra la situazione del 2022 con quella del 2019 mostra, accanto a una lieve attenuazione in Umbria del gender pay gap, un’accentuazione del divario territoriale rispetto all’Italia, sia totale sia per ciascun genere.

“I differenziali retributivi Umbria/Italia sono più elevati in corrispondenza della compagine maschile”

Dunque, la questione delle basse retribuzioni in Umbria non sembra si stia allentando.

Il fenomeno è strettamente legato al fattore organizzazione del lavoro e gestione delle risorse umane, che si riflette sui livelli medi complessivi retributivi (e l’Umbria continua a primeggiare nella graduatoria regionale della maggiore quota di lavoratori sovra istruiti) ed è fortemente interrelato, in un reciproco rapporto di causa-effetto, con il livello di innovazione incorporata negli assetti produttivi e, dunque, con la produttività del sistema. In altre parole, poiché a produttività elevate corrispondono salari e stipendi elevati e viceversa, alla fine è proprio una minore capacità media delle imprese locali nel generare maggiore valore aggiunto unitario a spiegare compensi lavorativi umbri strutturalmente inferiori a quelli nazionali. In questo legame a doppio filo, spesso ci si dimentica che l’investimento in lavoro qualificato – che ha naturalmente un costo – è una delle vie per elevare la produttività.

In più, osservando la dinamica congiunta di produttività, retribuzioni del lavoro dipendente e quota del margine operativo lordo sul valore aggiunto si scorge, oltre a un progressivo distanziamento umbro dalla media nazionale, un periodo in cui, pur in presenza di una remunerazione d’impresa relativamente superiore a quella nazionale, le retribuzioni dei dipendenti stazionavano comunque sempre al di sotto dei valori medi del Paese. Questo elemento lascia pensare a una endemica, scarsa attenzione a un congruo investimento nel capitale umano, più in generale a una insufficiente adozione di politiche aziendali basate su approcci innovativi capaci di gestire processi complessi che elevano la risorsa lavoro a fattore di crescita strategico per la competitività.

In sintesi, sembra lecito affermare che l’Umbria sconta una penalizzazione che molto ha a che fare con la traiettoria e i caratteri del suo sviluppo, con una prolungata, insufficiente propensione a investire nel capitale umano, con le fragilità economiche e finanziarie di quella parte del tessuto imprenditoriale locale più debole, meno capitalizzato e a minore contenuto di innovazione, dunque a più bassa produttività e profittabilità e a contenuta qualità gestionale e manageriale. Quando, invece, l’investimento più importante per aumentare la produttività è la qualità manageriale.[ii]

In questo quadro ha contato e sta contando molto anche l’assenza di grandi agglomerati urbani, acceleratori di innovazione e generatori di proiezioni esterne lunghe (…) luogo di contaminazioni e di innovazioni radicali, dove l’imprenditoria procede non tanto per lascito testamentario quanto si rigenera mediante progetti, sperimentazioni, fallimenti e nuovi tentativi.[iii] L’Unione Europea sta da tempo lavorando per contrastare i percorsi di divergenza tra i territori. Nella sola Italia, il progressivo indebolimento dei processi diffusivi dello sviluppo economico hanno accentuato la distanza tra le regioni periferiche e le aree che vantano centri urbani in grado di sviluppare forti economie di agglomerazione. Si tratta di un processo guidato dal cambiamento strutturale e dallo sviluppo delle attività di servizio avanzate, più frequentemente localizzate nelle aree urbane, che rimpiazzano le produzioni industriali a minor contenuto di conoscenze, interessate da processi di automazione pervasivi.[iv]

 

Note

[i] I dati qui di seguito commentati sono frutto di nostre elaborazioni sui dati amministrativi dell’Inps, che registrano le retribuzioni a fini contributivi dei dipendenti con un regolare contratto di lavoro. Per retribuzioni si intendono dunque gli imponibili a fini previdenziali, comprensivi dei contributi a carico del lavoratore, nel periodo di tempo considerato.
[ii] Cfr. B. Bracalente, relazione alla Conferenza Regionale dell’Economia e del Lavoro (CREL) “Innovazione, sviluppo, occupazione: l’Umbria si confronta sul suo futuro”, Perugia, 12 novembre 2018.
[iii] Cfr. G. Croce, Modello umbro e pregiudizio anti-urbano, 4 maggio 2022, focus Aur (https://www.agenziaumbriaricerche.it/focus/modello-umbro-e-pregiudizio-anti-urbano/).
[iv] Cfr. Banca d’Italia, Il divario Nord-Sud: sviluppo economico e intervento pubblico Presentazione dei risultati di un progetto di ricerca della Banca d’Italia, n. 25, giugno 2022, p. 5.

 

 

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