Focus
Giuseppe Croce
Realtà e prospettive dell’economia umbra. Una lettura del Rapporto annuale di Banca d’Italia
La lettura dell’ultimo Rapporto di Banca d’Italia sull’economia umbra costringe il lettore a un confronto con la situazione della regione e con le sue prospettive. Vediamo, quindi, prima i dati, per poi passare a interrogarci sulle prospettive.
Tra il 2007 e il 2022 il Pil pro capite dell’Umbria, una misura del prodotto medio dei residenti, è diminuito in termini reali di ben 12,4 punti percentuali. Nello stesso periodo, al contrario, rimaneva sostanzialmente stabile a livello nazionale e cresceva di 7,5 punti nelle regioni europee più simili all’Umbria. Questi dati certificano il declino assoluto e relativo dell’economia umbra.
Per fare chiarezza si può scomporre l’andamento del Pil pro capite nelle sue tre componenti di base: popolazione, produttività del lavoro e occupazione. In Umbria tutte e tre queste componenti hanno seguito un andamento negativo tra 2007 e 2022. La popolazione totale è invecchiata e diminuita per il peggioramento del saldo naturale non compensato dal saldo migratorio estero, mentre nello stesso periodo è aumentata nelle regioni del Centro e in Italia. Gli occupati sono diminuiti dell’1,8 per cento per effetto della contrazione della popolazione (il tasso di occupazione è rimasto immutato fino al 2019 per poi crescere dopo il Covid). Ma è alla drammatica caduta della produttività, più grave di quella registrata per l’Italia, che deve essere attribuito quasi per intero il declino umbro.
Una nota positiva viene dai dati più recenti dell’occupazione. Nel 2023 il tasso di occupazione è salito dal 64,9% del 2022 al 66,5%, un livello al di sopra di quello precedente la pandemia. Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è arrivato al 70,7%, un record storico per la regione. Negli anni successivi al Covid, quindi, si è manifestato uno slancio positivo dell’occupazione che però, come si argomenterà tra poco, non può essere risolutivo.
Le tendenze negative della popolazione e della produttività sembrano ormai consolidate. La loro spinta inerziale, se non contrastata, continuerà a influenzare le dinamiche dei prossimi anni e a spingere il Pil pro capite verso il basso.
“E’ alla caduta della produttività che deve essere attribuito quasi per intero il declino umbro” |
Ma c’è di più. La caduta della produttività tende a instaurare pericolosi circoli viziosi, in quanto schiaccia verso il basso i salari e questo spinge i giovani, anche e soprattutto quelli più qualificati, a lasciare la regione. Tra 2011 e 2021 sono stati oltre 9800 i giovani laureati umbri tra i 25 e i 39 anni che hanno trasferito la residenza all’estero (Istat). Tale cifra non solo è in rapida crescita e superiore al numero dei laureati che dall’estero si trasferisce in Umbria, ma rappresenta solo una piccola parte del più vasto travaso di giovani qualificati verso l’esterno se si considerano anche i tanti che si trasferiscono verso altre regioni italiane e tutti quelli che lavorano stabilmente fuori regione senza aver formalmente trasferito la residenza.
Allo stesso tempo, ci informa il Rapporto della Banca d’Italia, le imprese umbre già da alcuni anni incontrano difficoltà crescenti e più gravi che nel resto del paese nel reperimento di personale. Solo in Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia le difficoltà sono maggiori. Le imprese faticano a trovare soprattutto personale qualificato, in particolare dirigenti, operai specializzati, tecnici e figure ad alta specializzazione. Il paradosso dell’esodo dalla regione di laureati e, allo stesso tempo, della mancanza di personale qualificato è in gran parte spiegabile proprio dai più bassi livelli delle retribuzioni e dalle minori prospettive di crescita professionale offerte dalle imprese umbre[1]. Sta di fatto che la carenza grave e persistente nel tempo di personale qualificato inevitabilmente finisce per dirottare gli investimenti delle imprese ancora più lontano dalle attività innovative verso quelle a minore valore aggiunto. Il risultato finale è quindi una specializzazione regionale sempre più marcata in settori meno dinamici e, quindi, l’ulteriore indebolimento della produttività.
Questi i fatti. Quali, quindi, le prospettive per il futuro? Assecondare le tendenze consolidate degli ultimi due decenni implica accettare un’ulteriore riduzione del reddito degli umbri. Se si ritiene che sia una responsabilità comune non subire passivamente questa prospettiva, la strategia per provare a reagire non può che azionare più leve. Tuttavia, se si vuole essere efficaci, è necessario individuare le priorità, gli snodi decisivi.
Certamente la tendenza positiva dell’occupazione di questi ultimi anni va assecondata. Tuttavia, essa non potrà compensare gli effetti delle tendenze negative della popolazione e della produttività. Innanzitutto, perché la crescita dell’occupazione è trainata principalmente dallo slancio del turismo e da altri servizi a bassa produttività[2]. Inoltre, perché ha spazi limitati. Ad esempio, le stime di Banca d’Italia ci dicono che se anche la partecipazione femminile raggiungesse in Umbria la parità con quella maschile, le forze di lavoro complessive continuerebbero comunque a calare.
Certamente anche le politiche per la natalità sono necessarie e utili a rallentare il declino demografico. Tuttavia, se in attesa che si manifestino i loro effetti, i giovani continueranno a lasciare la regione e i redditi di chi rimane resteranno bassi, il declino non potrà che proseguire.
Certamente, infine, anche l’immigrazione rappresenta un rimedio urgente e irrinunciabile per molti settori, ma date le sue caratteristiche attuali – immigrazione poco qualificata e impiegata in attività a basso valore aggiunto – può solo tamponare alcune falle del sistema senza incidere sul declino in corso.
Allora la componente su cui agire in via prioritaria, l’elemento-chiave di una strategia per fermare il declino, è la produttività[3]. Ci sono motivi connaturati e immodificabili per i quali l’economia umbra debba essere segnata da una così bassa e declinante produttività, divergente anche dal resto del paese? Se la risposta è no, allora si devono individuare le leve con le quali far deragliare il sistema economico umbro dall’attuale traiettoria di produttività declinante e spostarlo su un nuovo sentiero di crescita. Non è un compito facile perché implica un salto anche culturale, a partire dalla cultura imprenditoriale, ma deve essere quanto meno tentato.
“Per aumentare la produttività serve sviluppare il sistema della formazione e della ricerca” |
Gli ingredienti economici della ricetta per aumentare la produttività sono noti. Serve, in primo luogo, sviluppare il sistema della formazione e della ricerca. Molto promettente, a questo riguardo, la notizia che finalmente ha preso avvio un’alleanza tra gli atenei di Umbria, Marche e Abruzzo. Rimane in stallo, invece, la situazione degli ITS (Istituti Tecnici Superiori). Il Rapporto della Banca d’Italia ci informa che risulta particolarmente difficile per le imprese trovare personale con diploma ITS a causa del numero ridotto di queste figure in Umbria. Ciò non sorprende dato che l’Umbria continua ad avere una sola Fondazione ITS contro le 4 delle Marche, le 6 dell’Abruzzo, le 9 della Toscana e le 16 del Lazio. Sul fronte della ricerca, inoltre, quella universitaria deve necessariamente poter dialogare e interagire con quella delle imprese, fin qui una cenerentola del sistema produttivo umbro.
Inoltre servono sostanziosi investimenti pubblici e privati. Non investimenti generici ma mirati a una trasformazione dell’economia a partire dal potenziamento delle infrastrutture. A questo proposito, il PNRR dovrebbe aiutare ma, soprattutto, le strategie per la crescita dell’Umbria hanno oggi l’opportunità di trovare una propria collocazione all’interno delle transizioni digitale e verde. Queste, insieme alla transizione demografica, sono processi di trasformazione dai quali possono scaturire nuove filiere produttive e di servizi, nuove professioni, nuovi stili di consumo, nuovi spazi di ricerca e di innovazione. Per fare un esempio, i nuovi posti di lavoro green, che cresceranno nei prossimi anni, sono mediamente più qualificati di quelli brown, legati ad attività inquinanti e necessariamente in diminuzione[4]. Si tratta di un passaggio, quindi, che apre spazi di crescita della produttività. Le transizioni avviate rappresentano processi ampi che impattano le economie avanzate e dentro i quali anche l’Umbria può inserirsi. Ma per coglierne le opportunità l’economia umbra deve decidersi a ridefinire la propria vocazione e attrezzarsi allo scopo.
Note
[1] Tondini E., Le basse remunerazioni del lavoro in Umbria: caratteri, cause, implicazioni, Focus AUR, 18 gennaio 2024.
[2] Coco G., Turismo in Umbria: i numeri della ripresa, Focus AUR, 15 febbraio 2024; Casavecchia M. e Tondini E., Cresce la produttività dell’Umbria nel 2022, Focus AUR, 25 marzo 2024.
[3] Vedi anche Casavecchia M. e Tondini E., Le conseguenze economiche dell’inverno demografico in Umbria, Focus AUR, 20 febbraio 2024.
[4] Vandeplas A., Vanyolos I., Vigani M., Vogel L., The Possible Implications of the Green Transition for the EU Labour Market, European Economy d.p. 176, European Union, 2022.