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Tondini
Elisabetta Tondini
Agenzia Umbria Ricerche
Focus AUR
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Assistenza agli anziani non autosufficienti: l’Umbria nelle disparità territoriali

4 Mar 2025
Tempo di lettura: 7 minuti

Il presente approfondimento è stato realizzato sulla base del contributo AUR, a cura di L. Pelliccia – E. Tondini – M. Casavecchia, dal titolo Il welfare locale nei processi evolutivi della finanza pubblica. Il caso della non autosufficienza degli anziani, contenuto nel volume “La finanza territoriale. Rapporto 2024” pubblicato da Rubbettino a dicembre 2024 (www.agenziaumbriaricerche.it/papers_quaderni/la-finanza-territoriale-rapporto-2024/).
I dati qui riportati sono stati aggiornati all’anno 2022 (reso disponibile da Istat a febbraio 2025).

Il finanziamento del welfare territoriale e i processi evolutivi in atto
In Italia, il sistema di welfare locale è caratterizzato da un’articolata distribuzione delle competenze tra diversi livelli di governo: le Regioni, che detengono la potestà legislativa sui servizi socioassistenziali, e i Comuni, responsabili dell’amministrazione e del finanziamento degli interventi, spesso operando attraverso gli Ambiti Territoriali Sociali. Le risorse finanziarie per queste attività provengono da una combinazione di fondi comunali e regionali e di trasferimenti statali. In particolare, lo Stato eroga risorse per le politiche sociali, tra cui il Fondo Nazionale Politiche Sociali e il Fondo per la Non Autosufficienza, che hanno registrato un significativo incremento degli stanziamenti (da circa 600 milioni di euro del 2014 a oltre 3 miliardi nel 2023). A questi si aggiungono finanziamenti provenienti dall’Unione europea, che svolgono un ruolo sempre più rilevante nel sostegno agli interventi sociali.

Negli ultimi anni, il sistema di finanziamento del welfare locale ha subito trasformazioni rilevanti, con il tentativo di superare il criterio della “spesa storica” in favore di una redistribuzione basata sui “fabbisogni standard” e su meccanismi di perequazione fiscale. L’obiettivo, da realizzare entro il 2027, è trasformare i fondi statali in entrate proprie delle Regioni, garantendo un maggiore equilibrio nella distribuzione delle risorse. Tuttavia, l’implementazione di questi cambiamenti non è priva di difficoltà, a causa della frammentazione del sistema e della mancanza di una definizione chiara dei Livelli Essenziali delle Prestazioni sociali (Leps), quelli che dovrebbero garantire una copertura uniforme dei servizi sociali su tutto il territorio nazionale.

Da un punto di vista evolutivo, dal 2011 al 2022 la spesa sociale è andata aumentando e l’incremento particolarmente significativo nelle regioni meridionali, tradizionalmente svantaggiate sotto questo profilo, ha determinato una riduzione dello strutturale divario con il Nord. Questa dinamica ha sotteso tuttavia una crescente dipendenza dai trasferimenti statali: mentre nel Centro-Nord i Comuni continuano a finanziare autonomamente la maggior parte (oltre il 60%) delle spese per il welfare locale, nel Mezzogiorno la quota di risorse proprie è scesa sensibilmente (a poco più di un terzo), facendo sì che molte amministrazioni locali si affidino prevalentemente ai fondi statali, con un conseguente rischio di un “effetto spiazzamento” (laddove i finanziamenti nazionali sostituiscono, anziché integrare, la spesa locale).

La spesa per l’assistenza agli anziani non autosufficienti: uno sguardo all’Umbria
Un ambito particolarmente rilevante all’interno del sistema di welfare territoriale è l’assistenza agli anziani non autosufficienti, sempre più centrale per la crescente domanda di servizi necessari al sostegno delle situazioni di fragilità derivanti dall’allungamento della vita e dall’invecchiamento demografico.

In Italia, l’attuale assetto dell’assistenza agli anziani non autosufficienti (d’ora in poi Ana) mostra ancora profonde criticità: la frammentazione del sistema di finanziamento, l’assenza di standard uniformi e la crescente dipendenza dai trasferimenti statali hanno contribuito a generare forti disparità territoriali, penalizzando le regioni con minore capacità di spesa autonoma. Anche per questo motivo il riordino dell’assistenza agli Ana è una delle riforme abilitanti del Recovery Plan su cui si è impegnato il Paese.

Le competenze in merito a questo ambito di intervento sono suddivise sostanzialmente tra tre macro-filiere (sanità, servizi sociali e indennità di accompagnamento, secondo un governo multilivello che coinvolge rispettivamente Regioni, Comuni, Inps). La componente ove si riscontra una maggiore disomogeneità territoriale, data la storica assenza di Leps, è quella degli interventi socioassistenziali in capo ai Comuni, ed è su questa che verrà effettuato l’approfondimento che segue.

Nel 2022, la spesa complessiva dei Comuni per l’assistenza agli Ana ammontava a circa 1,19 miliardi di euro, pari al 13,4% della spesa sociale totale. Nonostante l’aumento del fabbisogno espresso da una popolazione sempre più anziana e longeva, la spesa per questo tipo di interventi non ha seguito il trend di crescita del welfare locale considerato nel suo complesso: dal 2011 al 2022 la variazione media annua in termini nominali è stata nulla (e in molti territori negativa), a fronte dell’incremento del 2,1% medio della spesa sociale complessiva.

Nella stazionarietà nominale di detta spesa ad essere favorite (soprattutto nelle regioni settentrionali) sono state le strutture residenziali più che i servizi domiciliari, tanto che le risorse riservate a questo tipo di interventi hanno finito per assorbire la quota principale della spesa destinata agli Ana, pari al 44,2% in Italia e al 40,0% nelle Regioni a statuto ordinario (RSO). L’assistenza domiciliare, la seconda voce di spesa, si ferma al 35,4% e al 38,3%, rispettivamente.

La spesa per gli Ana presenta disparità territoriali molto pronunciate, soprattutto tra il Nord e il Sud del Paese (ma non solo). Una situazione che è il risultato di una combinazione di fattori, tra cui la scarsità di fondi dedicati, la mancanza di una programmazione strutturata e l’assenza di standard uniformi a livello nazionale. Qualche esempio: nel 2022 il livello di spesa pro capite (calcolata sulla popolazione con oltre 64 anni), con un valore medio nazionale di 84,3 euro annui per anziano (68,3 euro nelle RSO), arriva a 124,5 euro in Toscana e si ferma a 17,5 euro in Calabria. Valori molto più elevati si registrano nelle RSO e nelle Province autonome.

Osservando i singoli interventi, le disparità territoriali in alcuni casi si amplificano. Considerando le sole RSO, la spesa pro capite per assistenza domiciliare passa infatti dai 35,3 euro del Piemonte ai 9,4 euro della Calabria; quella per l’assistenza residenziale da 63,6 euro della Toscana a 1,0 euro della Basilicata.

Le differenze territoriali calcolate sui valori pro capite si riflettono anche nei tassi di presa in carico degli utenti: se nelle regioni settentrionali il sistema è in grado di coprire una parte significativa della popolazione anziana, altrove molte persone anziane non autosufficienti rimangono prive di un supporto adeguato[1].

La situazione in Umbria
In Umbria, ove nel 2022 i Comuni hanno destinato risorse per gli Ana pari 9,1 milioni di euro, la spesa media pro capite si ferma a 39,8 euro, un valore molto al di sotto di quello italiano, delle RSO, ma anche dei Comuni marchigiani e soprattutto di quelli toscani.

In linea con la tendenza nazionale di progressivo ridimensionamento rispetto ad altri settori di welfare, dal 2011 al 2022 detta spesa mostra una dinamica ben più ridotta di quella dei servizi sociali totali (gli aumenti nominali medi annui sono pari rispettivamente a 0,6% e 2,1%). Dunque, nel 2022, la quota di detta spesa sul complesso degli interventi e dei servizi sociali dei Comuni umbri si è abbassata al 9,0%.

Nella regione, la spesa per Ana è assorbita principalmente dall’Assistenza domiciliare (Adi, Sad, voucher), che concentra il 44,2% delle risorse totali; a distanza seguono le Strutture residenziali, a cui le municipalità umbre destinano meno di un quarto della spesa per gli Ana. Rispetto alle altre aree la regione si caratterizza dunque per una prevalenza del servizio domiciliare e una ridotta propensione a investire nelle strutture residenziali la cui spesa, fortemente diminuita negli anni, è destinata prevalentemente a contributi e integrazioni a retta. Viceversa, risultano relativamente più importanti altre voci di intervento, quali ad esempio i contributi per i servizi alla persona, sottendendo una preferenza ad affidare ai familiari la gestione della presa in carico degli anziani bisognosi di assistenza.

L’analisi dal 2021 al 2022 per singole voci di intervento mostra, a fronte di un incremento nominale della spesa per Ana del 6%, una forte espansione della spesa per l’assistenza domiciliare integrata con i servizi sanitari a discapito di quella socio-assistenziale. Altro elemento di rilievo, la diminuzione dei contributi per i servizi alla persona.

I servizi per gli anziani non autosufficienti individuati dalla riforma
Negli ultimi anni, il legislatore ha intrapreso un percorso per definire i Leps anche nell’ambito dell’assistenza agli anziani, ma il processo rimane ancora incompleto.

La recente riforma del settore, avviata con la Legge 33/2023 e il D.lgs. 29/2024, non ha infatti apportato modifiche sostanziali a questo quadro, limitandosi a una razionalizzazione delle regole esistenti senza ridefinire i meccanismi di finanziamento e di allocazione delle risorse. In più, i servizi individuati come Leps si limitano ai seguenti: assistenza domiciliare, telesoccorso, servizi di prossimità. Rimane escluso, tra gli altri, il servizio di assistenza residenziale. E ancora, non sono stati introdotti obiettivi quantitativi vincolanti che possano garantire un’effettiva equità nell’accesso ai servizi su tutto il territorio nazionale.

Prendendo in considerazione le voci di intervento che la recente riforma ha individuato come Leps, si riporta, per ciascuna di esse e per la loro somma, la spesa pro capite dei Comuni per regioni.

Pur davanti un quadro analitico fermo al 2022, si può sostenere a buon conto che i Leps per l’assistenza agli Ana siano a tutt’oggi un nodo ancora irrisolto. Intanto perché, diversamente dai Lea, l’attuale perimetro dei Leps rappresenta un sottoinsieme limitato rispetto al ventaglio degli interventi socioassistenziali di cui necessitano gli anziani. Inoltre, perché i livelli di partenza della spesa per i Leps si contraddistinguono per una forte disomogeneità che avrebbe richiesto politiche coordinate e un sistema incentivante oggettivabile sui progressi attesi di ogni territorio rispetto al relativo fabbisogno assistenziale. In più, allo stato attuale della riforma, le risorse continueranno a essere frammentate in tanti diversi fondi e, in assenza di standard attesi, si rischia che i Leps rimangano dichiarazioni di intenti.

Più in generale, il rafforzamento del welfare locale richiederebbe non solo un adeguato sostegno finanziario, ma anche un ripensamento del sistema di governance, con una maggiore integrazione tra i diversi livelli di governo e una più chiara definizione delle responsabilità. Se l’obiettivo è garantire una rete di protezione sociale equa ed efficace, sarà fondamentale adottare un approccio che coniughi autonomia finanziaria, definizione di standard uniformi e meccanismi di controllo che assicurino l’effettiva realizzazione dei servizi per tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione di residenza.

 

Note
[1] Per un approfondimento di questo aspetto, cfr. L. Pelliccia – E. Tondini – M. Casavecchia, Il welfare locale nei processi evolutivi della finanza pubblica. Il caso della non autosufficienza degli anziani, in “La finanza territoriale. Rapporto 2024”, 2024, Rubbettino, pp. 187-218.