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Giuseppe Coco
Agenzia Umbria Ricerche
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Degiovanimento: un’emergenza da affrontare

30 Lug 2021
Tempo di lettura: 5 minuti

Da che cosa è alimentato l’invecchiamento della nostra popolazione? Sostanzialmente da due fattori, uno diretto e l’altro indiretto.

Quello diretto è dato dall’allungamento della vita media delle persone.

Quello indiretto è da attribuire alla riduzione della natalità che innesca un processo di “degiovanimento”. In pratica, la diminuzione dei nuovi nati porta ad una amplificazione, sul totale della popolazione, della quota parte degli anziani rispetto a quella dei giovani. I dati a questo proposito sono eloquenti. Le persone che in Italia al 31 dicembre 2020 hanno oltre 65 anni sono il 23,5% della popolazione complessiva, a fronte del 12,8% degli under 15. Nella sostanza gli ultra sessantacinquenni sono quasi il doppio dei giovani fino a 15. Sul versante regionale, in Umbria gli over 65 sono il 26,2% della popolazione mentre gli under 15 sono il 12%; in pratica, gli anziani sono più del doppio dei più giovani.

Dal grafico 1 si evince in modo chiaro l’evoluzione della popolazione, sia umbra che italiana, per classi di età.

Graf. 1 – Popolazione in Umbria e Italia per classi di età fino a 55 anni (1 gennaio 2020, valori %)

Fonte: elaborazioni AUR su dati Istat

Nei cinquant’anni che vanno dagli anni Settanta ad oggi abbiamo assistito grosso modo ad un dimezzamento dei nastri che annunciavano nuove nascite e di conseguenza abbiamo accumulato un sostanzioso deficit di “nuovo” capitale umano: i nati tra il 1965 e il 1970 erano l’8,2% della popolazione italiana e l’8,0% di quella umbra; i nati nel terzo millennio non raggiungono mai il 5%. Più nel dettaglio in Italia nel 2019 sono nate 414.974 persone; nel 2000 il valore era pari a  590.744; nel 1980 saliamo a 743.730 e nel 1971 non eravamo lontani dal milione (959.708). Facendo un discorso speculare per l’Umbria, si rileva che nel 2020 sono nate 5.247 persone; nel 2000 il valore era pari a 7.825; nel 1980 si attestava a 10.592 e nel 1971 toccava quota 13.623.

Lo scenario non poteva essere tanto diverso visto che il numero di figli continua a scendere da svariati anni: se nel 2010 mediamente una donna ne aveva 1,46, nel 2020 ne ha 1,24. In Umbria, sempre nel 2020, il numero di figli medi per donna si è attestato a 1,15 ovvero il 13,8% in meno rispetto al 2008. Inoltre, come se non bastasse, stiamo assistendo ad una significativa riduzione delle persone collocate al centro dell’età riproduttiva, per una diminuzione delle potenziali madri: oggi le 25enni sono circa 280 mila, le 35enni si attestano intorno ai 330 mila, le 45enni superano quota 430 mila. In pratica, le 25enni sono circa il 35% in meno delle 45enni.

Fenomeni di tale portata vanno ad impattare (ed anche pesantemente) sulla struttura della popolazione generando non poche criticità demografiche.

Le trasformazioni della popolazione

Oggi come oggi, senza voler essere catastrofisti, è difficile immaginare una crescita demografica in regioni come la nostra. Nella sostanza abbiamo attraversato la soglia di un mondo dove decrescita e invecchiamento della popolazione hanno assunto un trend ormai difficile da invertire. Un trend che a ben vedere potrebbe non dipendere esclusivamente da fattori di opportunità economica, quanto anche da aspettative individuali che potrebbero, più o meno esplicitamente, orientare le giovani coppie a “sacrificare” il desiderio di avere figli a favore di uno stile di vita che, sinteticamente, potremmo definire urbanizzato.

La popolazione attiva, quella compresa tra 15 e 64 anni, sta diminuendo a favore della classe di età superiore. Il fenomeno non è privo di conseguenze perché, per produrre ricchezza, oltre al capitale finanziario (un certo ammontare di mezzi monetari) e al capitale fisico (impianti, macchine, ecc.) c’è bisogno di capitale umano che, in questo caso, significa una certa massa critica di popolazione in età lavorativa.

In Umbria, inizia ad essere molto alto sia il peso della popolazione inattiva su quella attiva, sia la percentuale di ultra 65 enni sugli under 15 (Tab. 1).

Tab. 1 – Umbria, struttura della popolazione (valori assoluti e % al 1° gennaio)

Fonte: elaborazioni AUR su dati Istat

Nel giro di otto anni, nella fascia 0-14 anni si sono persi circa 9 mila giovani, ovvero un valore simile agli abitanti di un comune come Deruta. Nella fascia 15-24 il dato è più o meno stabile, con una diminuzione di 2.216 persone. Nelle fasce 25-34 e 35-44 abbiamo rispettivamente 15.483 e 22.243 persone in meno, che è come se fossero scomparsi grosso modo due comuni delle dimensioni rispettivamente di Todi e Orvieto. Nella sostanza, l’Umbria dal 2012 al 2020 ha perso 48.610 giovani.

Come affrontare il fenomeno

Negli ultimi anni in diverse regioni europee si sono registrati andamenti demografici alquanto negativi. In particolare sono andate in sofferenza le zone rurali, certe aree industriali in declino e un considerevole numero di piccole città in posizione periferica.

In questo scenario, l’Umbria non ha fatto eccezione. Al pari di altre realtà avrebbe bisogno di politiche capaci di:

– ridurre drasticamente il fenomeno dei Neet, ovvero di quei giovani che non studiano e che non lavorano;

– favorire l’autonomia abitativa dei giovani per evitare che si rintanino nella casa dei genitori proprio negli anni più fertili;

– sostenere economicamente le coppie con figli per spezzare la correlazione tra numero di prole e rischio di cadere in povertà;

– agevolare l’occupazione femminile e delle madri in quanto solo con la presenza massiccia delle donne nel mercato del lavoro un’economia moderna può davvero crescere;

– potenziare i servizi per l’infanzia in modo da assicurare in particolare alle donne la possibilità di raggiungere il giusto equilibrio nel binomio casa/lavoro.

A questo punto, però, non si può far finta di niente su una questione dirimente: per le Regioni, specialmente se piccole come l’Umbria, non è facile attivare politiche destinate ad agire sulle dimensioni demografiche in quanto si tratta di politiche prevalentemente centralizzate.

Ciò che le Regioni possono fare è provare con più convinzione a scardinare questo sistema di politiche pensato dal centro, che spesso finisce col trascurare le peculiarità dei diversi territori.

Ma cosa significa provare a scardinare l’attuale sistema delle politiche demografiche? Significa sicuramente cavalcare ogni segnale di inversione di tendenza. Ed un segnale, anche forte, ad esempio, può essere quello che emerge dal “Parere del Comitato europeo delle regioni sui cambiamenti demografici” – Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (2020/C 440/07) – che:

23. ribadisce quanto affermato nel proprio parere Fondo europeo di sviluppo regionale e Fondo di coesione (2018), e cioè che gli obiettivi di questi due fondi europei consistono tra l’altro nel sostenere le regioni con svantaggi geografici o demografici, anche mediante l’erogazione di un sostegno finanziario europeo aggiuntivo per progetti volti a promuovere uno sviluppo economico sostenibile sul piano ambientale e inclusivo su quello sociale nelle regioni interessate;

24. ricorda, a tale proposito, la proposta propria e del Parlamento europeo di fornire questo sostegno speciale alle zone di livello NUTS 3 o ai cluster di unità amministrative locali con una densità di popolazione inferiore a 12,5 abitanti per km2, nelle zone scarsamente popolate, o inferiore a 8 abitanti per km2, nelle zone a bassissima densità demografica, o con una diminuzione media della popolazione di oltre l’1 % tra il 2007 e il 2017, che sono oggetto di piani regionali e nazionali specifici volti ad accrescerne l’attrattiva, ad aumentare gli investimenti delle imprese e a migliorare l’accessibilità dei servizi pubblici e digitali, con una dotazione specifica nell’ambito dell’accordo di cooperazione dei fondi strutturali;

25. ribadisce di essere favorevole (al pari del Parlamento europeo) a piani nazionali volti a sostenere i territori regionali e locali che si trovano ad affrontare un continuo declino demografico e che necessitano di aiuto, anche finanziario attraverso i fondi SIE, per diventare più attrattivi, aumentare gli investimenti delle imprese e migliorare l’accessibilità dei servizi digitali e pubblici. La nuova strategia dell’UE in materia di cambiamento demografico deve tenere conto di questi piani nazionali e regionali.

In conclusione, chi scrive tiene a sottolineare una propria convinzione, ovvero che l’inversione di certi trend demografici da negativi a positivi passano soprattutto attraverso una maggiore autonomia di intervento delle singole regioni in materia di politiche volte al sostegno della popolazione.

Per Terry Pratchett “Dentro ogni persona anziana c’è una persona più giovane che si sta chiedendo cosa diavolo sia successo”.