Focus
Elisabetta Tondini
L’Umbria del futuro (prossimo): favorire nuova residenzialità per bilanciare il trend demografico negativo
Il declino e l’invecchiamento della popolazione in Europa, in Italia, in Umbria (l’ordine è inversamente elencato rispetto alla gravità del fenomeno) è ormai un fatto conclamato, una sorta di malattia che si è cronicizzata e, come tale, difficile da curare. Almeno nel breve periodo.
Sulle cause e le implicazioni di ordine economico, sociale, culturale, si è molto argomentato (anche sulle pagine del sito Aur dedicate, “Emergenza demografica”) e su come intervenire per invertire la tendenza del declino del tasso di natalità, si sta ancora molto dibattendo.
Partiamo però da una considerazione: agire per invertire la tendenza di un tasso di fecondità e, più in generale, di una propensione alla genitorialità che è ai minimi storici, è un’operazione complessa, tra l’altro dagli esiti non scontati, perché implica contrastare un fenomeno che è il portato di lente trasformazioni stratificatesi lungo decenni.
“Invertire la tendenza di un tasso di fecondità ai minimi storici è un’operazione dagli esiti non scontati” |
Senza contare che, ammesso che interventi per favorire una ripresa della natalità possano sortire gli effetti sperati, le ricadute sugli equilibri demografici si concretizzerebbero soltanto nel lungo periodo.
Nel frattempo, però, una piccola regione come l’Umbria, dove il fenomeno è enfatizzato rispetto alla media nazionale, non fosse altro per le sue dimensioni, potrebbe rischiare di entrare in una crisi crescente: le coorti dei più giovani si stanno visibilmente assottigliando, come pure la fascia di popolazione in età lavorativa e, stanti le previsioni Istat, tra una ventina di anni la maggior parte della popolazione si troverebbe addensata tra gli over 60. Con evidenti problemi di sostenibilità economica e sociale.
L’Umbria rischia di trasformarsi, essa stessa, in una grande area interna.
È possibile frenare questa deriva demografica, oltreché con interventi finalizzati a favorire e sostenere la natalità, anche attraverso azioni che possano aumentare l’attrattività del territorio regionale? Insomma, la questione diventa: è possibile agire per trattenere la popolazione autoctona e attrarre nuova popolazione residente, in età attiva e riproduttiva?
“È possibile arginare l’attuale deriva demografica potenziando l’attrattività dell’Umbria” |
La risposta può essere affermativa, ma è condizionata da molti fattori.
L’attrattività è un concetto molto ampio, composito, che intercetta la struttura produttiva, le reti infrastrutturali, la qualità della vita, il capitale umano, la disponibilità di forza lavoro qualificata, la presenza di innovazione, la diffusione di servizi avanzati, sociali, culturali e molto altro ancora e nessuna di queste dimensioni è meno importante di altre. Si tratta di quegli elementi endogeni propri del territorio, sedimentati o in evoluzione, su alcuni dei quali è possibile tentare di intervenire.
L’Umbria può definirsi attrattiva e dunque capace di alimentare dinamiche di crescita – demografica nel nostro caso – se viene considerata luogo dove può essere conveniente vivere o trasferirsi, aprire un’impresa, svolgere un lavoro professionale. Non si può definire attrattiva solo perché le statistiche del turismo ci parlano di una crescita dei flussi dall’esterno. Perché i turisti vengono – e questo è un bene, visto che alimentano l’economia del territorio e fungono da amplificatore per diffondere la bellezza dell’Umbria – magari lo fanno più volte, ma poi se ne tornano da dove sono venuti. Possono alimentare l’industria del turismo, favorire la nascita di nuove attività, stimolare l’imprenditorialità di soggetti locali, magari giovani. Ma non è sufficiente. L’attrattività è un concetto più ampio, che presuppone la stanzialità dei soggetti economici e sociali.
Un saldo migratorio positivo (come registrato nel 2022 in Umbria, “Declino demografico. Un’emergenza che spesso la politica trascura”), possibilmente capace di alimentare il tasso di natalità, potrebbe aiutare dunque a contrastare la deriva demografica che sta minando la sostenibilità umbra.
Occorre allora che lavoratori, o persone in cerca di un’occupazione, singolarmente o con le proprie famiglie, siano essi stranieri o provenienti dal resto d’Italia, decidano di stabilirsi nella regione per decidere di viverci. E che molti giovani umbri non sentano forte il bisogno di emigrare altrove. In entrambi i casi ciò è possibile se nella regione si trovano condizioni più favorevoli rispetto ad altri luoghi. Serve dunque un’Umbria dove convenga vivere, piuttosto che dove valga la pena vivere, solo perché è bella.
La permanenza o lo spostamento di residenza in un determinato territorio può avvenire solo se il vantaggio atteso da quella scelta superi i costi, economici e non, della stessa. Il vantaggio atteso, nel nostro caso, è collegato alla possibilità di trovare: condizioni lavorative (occupazione e relativa remunerazione) adeguate, condizioni abitative (il costo degli affitti, ad esempio) congrue, condizioni di vivibilità favorevoli che, nel caso di chi si sposta, riguardano ad esempio la possibilità di sostituire la rete di mutuo aiuto familiare con una generosa rete di servizi di welfare locale. Se vi sono queste condizioni, è probabile che la popolazione cresca.
Anche se non impossibile, è difficile che un contesto locale soddisfi tutte queste condizioni.
Intanto, affinché un territorio offra buone di opportunità di lavoro, serve un’economia dinamica, assetti produttivi innovativi, interconnessi con i servizi avanzati e con la ricerca e molto altro. Su questo fronte la regione deve ancora lavorare. Una questione su tutte, causa dell’esodo di molti giovani e il problema più difficile da risolvere già per l’Italia: l’inadeguato livello degli stipendi netti dei giovani che, molto inferiore rispetto a quello di altri paesi Ocse, in Umbria risulta ancora più basso (i redditi da lavoro dipendente privato degli under 35 risultano inferiori del 5,8% rispetto all’Italia e del 14,4% rispetto al Centro-Nord). L’Umbria, prima in classifica tra le regioni italiane con la più alta quota di lavoratori sovra istruiti, denuncia un tasso di crescita dell’esodo di giovani particolarmente alto, il più alto rispetto alle altre realtà italiane nell’ultimo decennio, se si considerano i laureati che vanno all’estero. Al depauperamento demografico si assomma dunque quello del capitale umano altamente formato.
Sicuramente opportuna è la strategia di (continuare a) stanziare incentivi a favore di nuova imprenditorialità finalizzata ad agevolare i più giovani e di attività produttive che richiedano forza lavoro altamente qualificata, finalizzata all’assorbimento di giovani laureati, siano essi umbri o che provengano da fuori. Deve trattarsi di nuove imprese che accelerino la transizione economica verso produzioni green e sostenibili, quelle che – tra l’altro – esercitano un forte appeal soprattutto tra i più giovani e che richiedono profili altamente specializzati e caratterizzati da livelli retributivi più elevati.
In generale, serve continuare a intervenire affinché si creino situazioni lavorative più consone alla nuova formazione e più favorevoli da un punto di vista remunerativo, visto che stipendi migliori e un più rapido accesso alle assunzioni a tempo indeterminato sono elementi che i nostri giovani vanno oggi a cercare fuori (dall’Umbria e dall’Italia).
Nell’attesa che un rafforzamento (auspicato) del sistema produttivo umbro potenzi la sua capacità di generare più reddito, potrebbe essere strategico cercare di contrastare questo deficit competitivo agendo sul fronte dei servizi per la popolazione, ponendo cioè sul piatto della bilancia un’offerta che abbatta i costi della vita, attraverso interventi che favoriscano – ad esempio – l’accessibilità abitativa e il mantenimento/potenziamento dei servizi alle famiglie e ai cittadini (dai nidi al sistema della mobilità).
Su questo fronte, si segnalano alcune pratiche – che possono fare al caso umbro – sperimentate da tempo in alcune regioni italiane al fine di contrastare lo spopolamento ed aumentare l’attrattività dei territori. Si parte dalle esperienze volte a migliorare l’accessibilità alla casa, un’emergenza soprattutto per i giovani che vogliono staccarsi dalla famiglia e intraprendere un percorso di vita autonomo: affitti agevolati o esenzioni fiscali, ovvero offerta di un contributo economico una tantum o mensile, per un periodo, per giovani residenti stabili; progetto “abitazioni a 1 euro”, ovvero vendita, da parte di enti locali che ne sono proprietari, di abitazioni agibili a un prezzo simbolico, con il vincolo di mantenervi la residenza principale per alcuni anni.
Relativamente ai servizi alla popolazione sono state effettuate le seguenti azioni: potenziamento dei servizi all’infanzia e scolastici in generale (tempo pieno con servizi mensa e trasporto gratuiti) per favorire le giovani famiglie con figli; mobilità integrata, soprattutto per agevolare gli spostamenti dai luoghi più distanti ai centri maggiori: scuolabus “a porte aperte”, servizi di trasporto a prenotazione, servizi “sharing”; e, pensando agli stranieri che decidano di stabilirsi nel territorio, servizi di mediazione culturale, da corsi di lingua, a luoghi di formazione e ritrovo per stranieri anche basati sulla rete delle biblioteche civiche.
Interventi di questo tipo, presi singolarmente, non possono determinare un cambio di rotta, ma possono costituire fattori di appeal non del tutto trascurabili, a patto che vengano messi a sistema.
In realtà, per l’Umbria resta sempre il grande problema del potenziamento di almeno una città che funga da forte attrattore e da catalizzatore soprattutto per le giovani generazioni, che diventi insomma una specie di cuore pulsante per tutto il territorio. Non è casuale (né promettente) la sempre più frequente pratica messa in atto da imprese umbre di delocalizzare altrove (Milano, Roma) i propri studi di servizi avanzati. Il fatto è che solo grandi città sanno offrire quella giusta rete di legami, energie, creatività, idee, possibilità che realtà di piccole dimensioni non riescono a garantire.
Si può fare qualcosa in questo senso? Perché, ad esempio, non scommettere su una “Perugia città universitaria”, forti del fatto che è anche sede di una prestigiosa Università per Stranieri?
Si tratterebbe di agire su uno sviluppatore urbano tra i più importanti per la competitività di una città: per la qualità del capitale umano che riesce a formare e per quello che riesce a intercettare e per le ricadute sul sistema produttivo locale, per la capacità di stimolare idee, creatività, opportunità, incoraggiare comportamenti virtuosi, corroborare l’accrescimento sociale e culturale. Potenziare il ruolo e l’immagine dell’Ateneo, attraverso adeguati processi di internazionalizzazione e di sempre maggiore integrazione con il mondo produttivo, può rivelarsi un importante volano di attrattività per studenti, locali e provenienti da fuori regione, e in seconda battuta di intrapresa. L’attrattività di studenti stranieri è un obiettivo del sistema universitario e una delle priorità di tutti i sistemi socioeconomici dell’Occidente e numerose realtà europee, anche italiane, hanno attivato strategie per migliorare i servizi per gli studenti stranieri al fine di aumentare l’internazionalizzazione del sistema universitario locale e di trattenere risorse umane qualificate. Per questo servono servizi universitari, a partire dall’offerta didattica, di interesse e di pregio, borse di studio a copertura didattica e per l’alloggio, dunque residenze adibite ad hoc, ma contano anche infrastrutture culturali di qualità offerte dal contesto urbano.
Come è evidente, tutto si collega a tutto, e per innescare un circolo virtuoso che abbia ricadute positive sulla tenuta demografica umbra occorre immaginare un intervento sistemico assai complesso.