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Elisabetta Tondini
Agenzia Umbria Ricerche

Giovani e anziani, mai così distanti

20 Mar 2019
Tempo di lettura: 3 minuti

Una popolazione che si priva del naturale ricambio generazionale si fa sempre più vecchia e i giovani diventano una risorsa sempre più scarsa. Ciò che sta succedendo in Italia – e ancor più in Umbria – segna la vera grande divisione sociale attuale, basata sull’età.

Mai come oggi il divario tra le generazioni dei giovani e dei più anziani è stato così grande: l’esclusione dei primi dal lavoro, inaspritasi nell’ultimo decennio e la competizione sulle risorse scarse del welfare hanno generato a livello pubblico una profonda cesura che rischia di degenerare in una vera e propria scissione generazionale. Una scissione che poggia le basi su un importante divario economico, nella ripartizione del reddito e della ricchezza, riflettendosi sul piano sociale e influendo sull’approccio alla vita e sul sistema di valori. Mentre oggi gli over 65 detengono gran parte del reddito nazionale, i nati dopo la metà degli anni Ottanta sono la generazione con il reddito pro capite più basso e la più povera della storia italiana: su un valore medio nazionale pari a 100, il livello degli over 65 sale a 116, quello dei giovani maggiorenni fino a 34 anni scende a 91. Ancora più forte è lo sbilanciamento in termini di ricchezza.
Così, la generazione dei giovani, quella più istruita e preparata della storia italiana, per la prima volta si trova ad affrontare prospettive economiche peggiori di quelle dei propri genitori. E per la prima volta la povertà, che in Italia e in Umbria aveva caratterizzato storicamente i più anziani, incide maggiormente tra i più giovani. Alti tassi di disoccupazione ma anche la bassa remunerazione dei lavori in ingresso, per lo più intermittenti e precari, rendono il rischio di cadere in povertà sempre in agguato. Proroghe nell’ingresso nel mercato del lavoro e situazioni lavorative che non garantiscono autonomia sufficiente e duratura costringono i giovani a rimanere nel nucleo familiare d’origine, a rinviare pianificazioni di vita, a procrastinare la genitorialità, alimentando l’invecchiamento demografico e sociale.
Il ritardo economico dei giovani spiegherebbe la loro elevata tendenza all’isolazionismo: in un contesto italiano caratterizzato da elevata incomunicabilità tra generazioni, i giovani risultano i più chiusi, preferendo avere contatti solo con i coetanei. Pochi e sempre di meno, reagiscono alla marginalità lavorativa, economica e sociale legittimandosi a vicenda. All’opposto, la grande apertura all’intergenerazionalità da parte degli anziani spiega una solidarietà senza precedenti che ha attivato un importantissimo meccanismo di tutela, a sua volta alimentato dalla maggiore tenuta del loro reddito. Soprattutto le famiglie a bassa intensità lavorativa trovano nelle pensioni dei nonni una risorsa fondamentale di welfare. E in tal modo l’Italia, ancor più l’Umbria, utilizza i forti legami familiari come naturale, irrinunciabile ombrello di protezione sociale. Ancora per la prima volta, questa solidarietà dai nonni verso i nipoti procede in senso opposto rispetto a quella degli anni Settanta, quando erano i figli che, con il loro reddito, assicuravano la vecchiaia ai padri.
In questo tentativo di riequilibrio, profonda rimane la cesura culturale ed esperienziale tra giovani e anziani. I primi, portatori di una diversità che parte dal loro essere rapidi e sintetici, sperimentano il presente e immaginano il futuro all’insegna della mobilità: mobilità dentro e fuori la famiglia di origine, mobilità geografica e mobilità lavorativa, indotta ma a volte voluta, mossa dal desiderio di sperimentare altro. Sopra ogni cosa, valutano il lavoro non solo in base alla retribuzione economica, ma anche alla gratificazione personale: una grande differenza rispetto alle logiche unidirezionali che incentivavano le generazioni del passato. Un vero e proprio cambiamento valoriale.
È stato scritto che le generazioni non si succedono l’una all’altra ma coesistono interagendo tra loro. È fuorviante ragionare come se ogni generazione cominciasse quando tramonta quella immediatamente precedente, perché la vita dei più giovani dipende dal destino che viene loro assegnato da chi oggi, proprio oggi, sta decidendo per loro.
Pertanto, il fatto che un Paese releghi i più giovani ai margini del mercato del lavoro, lasciando che diventino la categoria sociale più povera e non si curi se molti di loro se ne vanno all’estero e se sono numericamente sempre di meno, è il risultato di un approccio che sottovaluta l’importanza di uno sviluppo equilibrato, equo, sostenibile. Perché quello dei giovani di oggi non è solo un problema individuale. È prima di tutto un problema collettivo, di una società che, proprio nel fare a meno di loro, perde la grande opportunità di crescita e sviluppo.

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