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Giuseppe Croce
Sapienza Università di Roma

I comuni umbri di fronte alla sfida demografica. Dalla frammentazione all’unione

2 Mag 2023
Tempo di lettura: 5 minuti

Il calo della popolazione sta colpendo l’Umbria con un’intensità maggiore di quanto si verifichi a livello nazionale. Negli ultimi sette anni l’Italia ha perso il 2,2% dei residenti, mentre il calo per l’Umbria è arrivato al 3,4%. Ma al di là del dato regionale complessivo, è importante analizzare l’articolazione territoriale di questo declino. In particolare, ci chiediamo in che misura la diminuzione della popolazione colpisce, da una parte, le aree rurali e i centri minori e, dall’altra, i centri urbani maggiori della regione.

“Gran parte dei comuni umbri ha una dimensione inadatta a giocare un ruolo a favore dello sviluppo”

Il grafico qui sotto mostra i tassi di variazione dei residenti nei comuni umbri a partire dal 2001. I comuni sono disposti da sinistra verso destra, in ordine crescente in base alla loro popolazione del 2001, quindi i più piccoli sono i primi a sinistra e i due capoluoghi gli ultimi a destra. Per ogni comune si riportano tre dati: in verde il tasso di variazione tra 2001 e 2009, in blu quello tra 2009 e 2016 e in rosso quello tra 2016 e 2023. È evidente il progressivo aggravarsi delle tendenze demografiche. Tra 2001 e 2009 gran parte dei comuni umbri registra ancora un incremento di residenti. In quel periodo la popolazione regionale aumenta del 6,5% e solo pochi comuni tra quelli più piccoli mostrano una variazione negativa. Tra 2009 e 2016 si verifica l’inversione di tendenza. La popolazione umbra cessa di crescere (solo +0,5% in sette anni) e molti comuni accusano variazioni negative. Infine, dal 2016 a inizio 2023 la popolazione diminuisce nella quasi totalità dei comuni, compresi i più grandi.


Fonte: elaborazioni autore su dati Istat

I tassi di variazione dei comuni per fascia dimensionale (medie non ponderate dei tassi comunali), riportati nella tabella seguente, sintetizzano queste tendenze. I comuni più piccoli (sotto i 3000 residenti) hanno cumulato nel tempo perdite di popolazione molto ampie. Negli ultimi sette anni (2016-2023) la diminuzione si è estesa a tutte le dimensioni compresi i due comuni capoluoghi e, in misura più forte, al comune di Terni. Questa riduzione di popolazione, risultato delle dinamiche negative dei tassi di natalità e dei saldi migratori, porta con sé anche un invecchiamento della popolazione residente.


Fonte: elaborazioni autore su dati Istat

Tre fatti principali vanno evidenziati da questi dati. Primo, i comuni più piccoli mostrano una dinamica che li sta portando allo spopolamento. Tra 2009 e 2023 il primo quartile è sceso da quasi 1700 residenti a quasi 1500 e la mediana è scesa da oltre 3100 a poco più di 2800, quindi un quarto dei comuni umbri oggi ha meno di 1500 residenti e la metà meno di 2800. In aree già a bassissima densità di popolazione, le tendenze in atto comportano condizioni di difficile sostenibilità anche dei servizi di base. Al di là delle zone che potranno conservare insediamenti industriali vitali o attività agricole ad alto valore aggiunto, per il resto di queste aree lo scenario che si ottiene estrapolando ai prossimi anni le tendenze già in atto è quello dell’abbandono.

Secondo, l’Umbria non ha più centri urbani attrattivi. Lo spopolamento delle aree rurali è un fenomeno atteso e facilmente spiegabile. Esso non è che la coda del processo epocale di sostituzione dell’economia agricola con una terziaria, che non ha necessità di essere dispersa nel territorio e tende sempre più a concentrarsi nelle aree urbane. Al contrario, la perdita di attrattività dei centri urbani denuncia una difficoltà non solo non scontata ma, per certi versi, anche più grave dello spopolamento dei centri minori. In gran parte dei paesi europei le aree urbane di dimensione media, e non solo le grandi città, hanno continuato a crescere anche in anni recenti. Più in generale, in questa fase storica i centri urbani sono i luoghi di agglomerazione e valorizzazione della conoscenza e dell’innovazione. Il venir meno in Umbria di città medie in grado di svolgere questa funzione rappresenta una grave debolezza per le prospettive economiche di tutta la regione. La storica pretesa di autosufficienza dell’Umbria[1], da sempre infondata, diventa ora palesemente insostenibile.

“Attraverso le unioni i 92 comuni umbri potrebbero aggregarsi in modo da ricalcare i 14 sistemi locali del lavoro”

Dai primi due fatti deriva il terzo. Non è in atto una ricollocazione della popolazione all’interno della regione, dalle aree rurali verso le aree urbane. Il declino della popolazione è generale ed esteso a tutti i comuni indipendentemente dal loro carattere rurale o urbano, e dalla loro dimensione.

Questo quadro può essere valutato e approfondito da diverse angolature. Proviamo ad assumere, in particolare, il punto di vista dei comuni più piccoli. Esistono delle opportunità per essi, magari limitate ma realistiche, per evitare un destino di abbandono? Se ne esistono, vanno cercate tra le pieghe delle grandi trasformazioni sociali in atto, sfruttando le possibilità di combinarle, in forme in gran parte ancora da esplorare, con le micro-risorse locali e distintive dei territori. Queste aree possono ambire a divenire una piattaforma territoriale in grado di accogliere una variegata “popolazione instabile” attratta per turismo in senso lato, per il tempo libero o per il lavoro da remoto. La tendenziale riduzione e flessibilizzazione degli orari di lavoro e la crescita della popolazione pensionata ma ancora attiva aumentano la domanda potenziale in questo senso. D’altro canto, lo sviluppo dei servizi da remoto, a partire dal commercio online, consentirà prevedibilmente di ridurre drasticamente l’isolamento.

Tuttavia, questo scenario di resilienza e trasformazione non si realizzerà in modo spontaneo, ma richiede investimenti pubblici e privati e strategie condivise. Inevitabilmente, una parte delle condizioni necessarie devono essere realizzate dalle comunità locali. Tuttavia, è evidente che la dimensione amministrativa comunale è troppo piccola per essere funzionale a questa trasformazione. Gran parte dei comuni umbri ha ormai una dimensione inadatta a giocare un ruolo a favore dello sviluppo, innanzitutto perché non consente che si raggiungano livelli adeguati di efficienza e di efficacia dei servizi. La frammentazione amministrativa al livello municipale, combinata con il tradizionale centralismo regionale umbro, rappresenta quanto di più lontano da un’utile applicazione del principio di sussidiarietà. La frammentazione non solo impedisce di raggiungere le possibili economie di scala ma tiene nascosta la compattezza geografica e culturale dei territori, non consente di apprezzare il valore strategico delle relazioni territoriali nella gestione dei servizi, nelle proiezioni verso l’esterno, nell’elaborazione di visioni comuni del futuro.

Una strada percorribile per superare questa frammentazione e sperimentare la cooperazione è data dalle unioni tra comuni per la gestione condivisa di funzioni e servizi, già previste e incentivate anche finanziariamente dalla legislazione vigente. I 92 comuni umbri potrebbero intraprendere la strada delle unioni per convergere verso un’aggregazione territoriale che ricalchi i 14 sistemi locali del lavoro in cui si articola il territorio regionale[2]. Quindi non solo unioni “orizzontali” formate solo da comuni piccoli e piccolissimi ma anche e soprattutto unioni “verticali” che aggregano comuni più piccoli intorno ai centri urbani di maggiore dimensione. I dati dicono che le città non stanno cannibalizzando le aree rurali. Al contrario, esistono importanti sinergie e complementarietà tra di esse[3]. Senza centri urbani vitali e capaci di offrire servizi di base e qualificati neanche le aree rurali circostanti possono pensare di farcela. D’altra parte le città non hanno nulla da guadagnare da uno scenario di desertificazione delle aree rurali circostanti poiché queste rappresentano una risorsa aggiuntiva in grado di generare un’importante domanda di servizi.

Due ostacoli principali, però, si intravedono lungo questa strada. Il primo, di ordine culturale, è il campanilismo sterile che, c’è da augurarsi, sarà meno forte tra le nuove generazioni. Il secondo, di ordine politico, riguarda la disponibilità effettiva della Regione a sostenere e accompagnare, come previsto dalle sue competenze, questo processo con gli strumenti e le risorse necessari.

 

Note
[1] Giuseppe De Rita, Le due anime dell’Umbria, BIT-Bollettino innovazione tecnologica, febbraio 2023.
[2] Giuseppe Croce, Dov’è il futuro dell’Umbria, nelle sue città o nei suoi borghi?, Focus, AUR, 2021.
[3] JRC-Joint Research Centre, Urban-rural interactions and their territorial disparities, European Union, 2022.