Focus
Giuseppe Coco
I giovani: sempre meno e snobbati dal mondo del lavoro
È ormai un fatto che l’Italia fa fatica a restituire un futuro alle nuove generazioni e a renderle protagoniste. Eppure ne avremmo tanto bisogno. La loro energia, la loro freschezza e la loro intelligenza ci tornerebbero davvero utili.
I giovani sono sempre meno, ciononostante li stiamo costringendo a rivedere al ribasso le proprie aspettative, a dare di meno rispetto a quello che potrebbero offrire e, in non pochi casi, sembra proprio che facciamo di tutto per farli anche fuggire all’estero. Ma andiamo per ordine e analizziamo dapprima la struttura della popolazione per capire come si sta trasformando il Paese e dopo facciamo una zumata sull’andamento dell’occupazione degli under 35.
Le trasformazioni della popolazione
Osservando la tabella 1 si vede che, nei soli ultimi 8 anni, in Italia nella fascia 0-14 anni abbiamo perso circa 600 mila giovani; per fare un paragone, più degli abitanti di Genova. Nella fascia 15-24 anni ne abbiamo circa 100 mila in meno, tanti quanti una città come Udine. In quella 25-34 ne mancano all’appello circa 700 mila, più degli abitanti di Palermo. Quasi 1,6 milioni nella fascia 35-44 e pensare che la grande Milano supera di poco 1,4 milioni di abitanti. In pratica è come se in Italia fossero scomparse più di quattro città significative popolate esclusivamente da under 45.
Tab. 1 – Italia, struttura della popolazione per fasce di età (valori assoluti e % al 1° gennaio)
Fonte: elaborazioni AUR su dati Istat
In Umbria (tab. 2) nella fascia 0-14 anni si sono persi circa 9 mila giovani ovvero un valore simile agli abitanti di un comune come Deruta. Nella fascia 15-24 il dato è alquanto stabile in quanto la diminuzione è solo di 2.216 persone. Nelle fasce 25-34 e 35-44 abbiamo rispettivamente 15.483 e 22.243 giovani in meno, che è come se fossero scomparsi grosso modo due comuni delle dimensioni rispettivamente di Todi e Orvieto. Nella sostanza l’Umbria dal 2012 al 2020 ha perso 48.610 giovani.
Tab. 2 – Umbria, struttura della popolazione (valori assoluti e % al 1° gennaio)
Fonte: elaborazioni AUR su dati Istat
Dati alla mano, il nostro Paese, anno dopo anno, sta accumulando un grosso deficit di “nuovo” capitale umano. Un deficit che è un lusso che non può permettersi nessuna potenza mondiale che voglia rimanere tale per non scivolare tra quelle fragili. Un deficit che per essere colmato ha bisogno di politiche innanzitutto capaci di:
1. favorire l’autonomia abitativa dei giovani per evitare che si rintanino nella casa dei genitori proprio negli anni più fertili;
2. sostenere economicamente le coppie con figli per spezzare la correlazione tra numero di prole e rischio di cadere in povertà;
3. potenziare i servizi per l’infanzia in modo da assicurare in particolare alle donne la possibilità di raggiungere il giusto equilibrio nel binomio casa/lavoro;
4. agevolare l’occupazione femminile e delle madri in quanto solo con la presenza massiccia delle donne nel mercato del lavoro un’economia moderna può davvero crescere.
Gli under 35: una risorsa snobbata
Il mercato del lavoro italiano è afflitto da una particolare forma di masochismo che rende marginali gli under 35.
I dati parlano chiaro e, come si vede dai grafici 1 e 2, nel terzo millennio la curva ha assunto un andamento tendenzialmente negativo.
Graf.1 – Tasso di occupazione 15-24 anni dal 2000 al 2020 (%) – Italia, Nord, Umbria
Graf.2 – Tasso di occupazione 25-34 anni dal 2000 al 2020 (%) – Italia, Nord, Umbria
È chiaro che qualcosa non sta andando per il verso giusto. Le imprese a quanto pare non scommettono più di tanto sugli under 35. E tra le motivazioni di questo non scommettere, sembra esserci il fatto che non pochi dei nostri giovani non sarebbero formati opportunamente per le nuove sfide lavorative del terzo millennio.
Sullo sfondo c’è l’annosa questione di raccordare il mondo della formazione con quello dei fabbisogni della produzione. Bene, ma adesso sembra che le cose stiano per cambiare. Siamo nell’epoca del Recovery Fund dove ormai tutto sembra realizzabile. Certo, a patto che il Recovery Fund diventi l’occasione per mettere in moto quel processo di modernizzazione del Paese che tarda a venire ormai da parecchio. Ciò nella consapevolezza che il Recovery può rappresentare sia il bene che il male. Il bene se attiva dinamiche di crescita. Il male se genera principalmente ulteriore debito pubblico.