Focus
Elisabetta Tondini
I giovani, tra assunzioni e dimissioni, alla ricerca di un lavoro più appagante
Il recuperato dinamismo del mercato del lavoro, già analizzato in precedenza (Il nuovo protagonismo dei tempi indeterminati), rivela una ripresa dei flussi, in particolare di assunzioni e variazioni contrattuali, anche relativamente alla fascia di età più giovane (fino a 29 anni).
I dati diffusi dall’Inps relativi ai dipendenti delle imprese extra-agricole[i] ci dicono infatti che in Umbria le assunzioni attivate da gennaio a settembre 2022 in questa fascia di età sono state quasi 28 mila, con un aumento del 22 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 (19 per cento in Italia). L’incremento, che ha investito tutte le tipologie contrattuali, è stato particolarmente evidente per i tempi indeterminati (48 per cento a fronte del 30 per cento italiano).
“Il tasso di risalita delle assunzioni premia i giovani fino a 29, anche nei contratti a tempo indeterminato” |
Sono almeno tre i fenomeni positivi, dunque: in Umbria le assunzioni dei più giovani crescono più delle relative assunzioni su base nazionale e anche più delle assunzioni totali della regione, e ciò rispetto sia allo stesso periodo del 2021 sia ai primi nove mesi del 2019; inoltre la ripresa dei tempi indeterminati ha interessato i giovani che lavorano in Umbria per un incremento più sostenuto di quello totale regionale (pari al 36 per cento) e anche del corrispettivo dato nazionale.
Di contro, le cessazioni relative ai soggetti con meno di 30 anni, che da gennaio a settembre 2022 si sono attestate a 22.447 (+17 per cento rispetto al 2021 a fronte dell’11 per cento italiano), hanno registrato un’espansione molto inferiore a quella delle cessazioni totali umbre (27 per cento). Da rilevare tuttavia un elemento che continua a caratterizzare il mercato del lavoro locale, ovvero un aumento delle cessazioni dei tempi indeterminati tra i più giovani più sostenuto che in Italia (+23 per cento rispetto al 2021 a fronte del 10 per cento nazionale).
Una parte delle cessazioni si è concretizzata in flussi di trasformazioni e spostamenti – in aumento rispetto sia al 2021 sia al 2019 – di posizioni di altra natura. Spiccano le trasformazioni in tempi indeterminati dei rapporti a termine e le conferme dei rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo.
L’andamento congiunto di queste grandezze, ovvero la differenza dei flussi in entrata e in uscita, comprensiva delle trasformazioni contrattuali, è esplicativa della portata del fenomeno in termini di posizioni di lavoro: nel complesso, nel periodo osservato, il saldo netto delle posizioni, pari a 5.328 rapporti di lavoro, pur in flessione rispetto all’anno precedente, si mantiene più alto del valore registrato nel periodo pre pandemico. Inoltre, cresce gradualmente la quota di posizioni di lavoro aggiuntive di giovani fino a 29 anni sul totale che, dal 2019 al 2022, sale dal 55 al 61 per cento, allineandosi al dato nazionale.
La tendenza delle posizioni di lavoro
A partire dalla consistenza (negativa o positiva) dei flussi netti dei rapporti di lavoro aggiuntivi per mese, quale esito dei movimenti in entrata e in uscita, si può ricostruire l’andamento delle posizioni cumulate annuali dei più giovani e delle persone dai 30 anni in su.
“La quota delle posizioni di lavoro aggiuntive di giovani fino a 29 anni sale in Umbria al 61 per cento, allineandosi al dato nazionale” |
In tal modo si scopre che in un anno (cioè rispetto a settembre 2022) la crescita dei rapporti di lavoro, complessivamente pari a 6.219, è stata appannaggio dei più giovani, con 6.081 posizioni in più e che, negli ultimi due anni (cioè a partire da settembre 2019), la crescita delle posizioni lavorative degli under 30 ha toccato quasi le 15 mila posizioni, a fronte del calo complessivo (-1.605) di quelle relative a persone che hanno 30 anni e più.
Spicca la prevalenza dei contratti a tempo indeterminato, anche in questo caso relativa alla compagine più giovane, aumentata in un anno di 3.401 casi e negli ultimi due di oltre 8 mila.
Il protagonismo della coorte più giovane che anima la rinnovata vivacità del mercato del lavoro è un fenomeno che si propone anche a livello nazionale e, se può considerarsi in parte fisiologico, si ritiene possa essere stato anche l’esito dei bonus e degli incentivi previsti da qualche anno per agevolare l’assunzione della fasce d’età più basse: dagli sgravi contributivi per i datori di lavoro che assumono persone con non più di 35 anni alle agevolazioni per quelli che decidono di assumere ragazzi e ragazze fino ai 29 anni iscritti al programma Garanzia giovani.
“La propensione all’abbandono volontario dal lavoro tra i tempi indeterminati continua ad essere un fenomeno particolarmente rilevante fra i più giovani” |
Un’ottica tendenziale del fenomeno può essere apprezzata osservando l’andamento dei saldi cumulati annualizzati, che dà conto dell’entità delle posizioni lavorative aggiuntive nette cumulate mese per mese nell’arco di un anno, distinguendo l’entità dei tempi indeterminati rispetto agli altri contratti e i flussi netti dei più giovani e quelli delle persone da 30 anni in su.
Si notino in particolare: la sostanziale stabilità, pur in una crescita tendenziale, dei tempi indeterminati aggiuntivi accanto a un andamento fortemente oscillante, come risposta delle altalenanti fasi congiunturali, delle altre tipologie contrattuali; la linea dei più giovani che sovrasta sempre quella dei meno giovani, anche isolando i tempi indeterminati; la risalita, a partire dal 2022, dei tempi indeterminati.
Le dimissioni
Continua la crescita delle dimissioni (nei primi nove mesi del 2022 in Umbria se ne sono contate, tra i giovani con meno di 30 anni, oltre 6 mila), seguendo la scia dell’ampliamento dei flussi in uscita. In realtà, il tasso di dimissioni, dopo il balzo del 2021, quando tra i giovani raggiunge complessivamente il 29 per cento, torna a declinare.
La propensione all’abbandono volontario dal lavoro continua ad essere un fenomeno particolarmente rilevante tra i tempi indeterminati e soprattutto fra i più giovani: nei primi nove mesi del 2021 aveva raggiunto l’84 per cento (a fronte del corrispondente 79 per cento nazionale). L’anno successivo, i due valori si eguagliano, per la diminuzione del tasso di abbandono registrato nella regione.
Ampliando il periodo di riferimento e osservando i valori cumulati annui, si evince come la curva della propensione all’abbandono volontario dal lavoro a tempo indeterminato tra gli under 30 in Umbria mostri un’impennata ininterrotta da settembre 2020 a ottobre dell’anno successivo (in Italia si interrompe alcuni mesi prima). Poi torna a calare, per un avvicinamento tra le due aree, che viaggiavano su valori analoghi nella seconda metà del 2020. Pur in questo rallentamento del fenomeno, è comunque innegabile lo stazionamento su valori molto alti: per ogni 10 cessazioni di impieghi a tempo indeterminato, oltre 7 derivano da abbandoni volontari.
Naturalmente il fenomeno delle dimissioni interessa anche le altre tipologie contrattuali, ma in misura molto più contenuta. In questo caso, il tasso di abbandono volontario complessivo è strutturalmente più elevato tra le persone che hanno più di 29 anni, in Umbria così come in Italia.
Nella regione, la più elevata propensione alle dimissioni dei tempi indeterminati caratterizza anche le persone al di sopra dei 29 anni, ma la relativa linea staziona sempre al di sotto di quella dei più giovani per distanze che, a partire dalla primavera 2021, si vanno ampliando.
In definitiva: il ritorno a una nuova normalità, segnato da una maggiore vivacità del mercato, si può leggere anche attraverso una generalizzata flessione della propensione alle dimissioni ma, per i più giovani soprattutto, l’abbandono volontario di un lavoro stabile sembra sia diventata una peculiarità di questi nuovi tempi.
Come si può leggere questo fenomeno?
“I giovani umbri penalizzati dal contesto territoriale” |
Non vi è dubbio che la ripresa del mercato – esplicitata dall’aumento delle assunzioni, delle cessazioni, delle trasformazioni contrattuali – sottenda una inevitabile crescita delle transizioni, da un settore a un altro o anche da un lavoro a un altro. E, di fatto, le dimissioni stanno aumentando come flusso ma diminuiscono come quota sulle cessazioni complessive.
Tuttavia in questa lettura non va trascurata l’onda lunga dell’esperienza pandemica e l’impatto psicologico su molte persone che a lungo hanno riflettuto, quando non rivisto, le proprie priorità e dunque i criteri di scelta in ambito lavorativo che, più di prima, hanno a che fare con la gestione dei propri tempi di vita, con gli aspetti retributivi, con la soddisfazione per quello che si fa.
Una recente ricerca AIDP (Associazione Italiana Direttori del Personale) ha rivelato che i lavoratori maggiormente sensibili ai cambiamenti culturali (circa il 70%) sono i giovani con età compresa tra i 26 e i 35 anni, e questo non dovrebbe sorprenderci: i giovani sono maggiormente sensibili ai cambiamenti culturali anche perché ne sono essi stessi gli artefici. I dati dell’Osservatorio INPS sul precariato ci dicono inoltre che i lavoratori italiani che hanno rassegnato le proprie dimissioni hanno lamentato: nel 45% dei casi una retribuzione inadeguata, nel 35% un’assenza di prospettive di carriera nel luogo di lavoro, nel 24% una insoddisfacente qualità di vita con un adeguato bilanciamento tra lavoro e vita privata, nel 18% una scarsa flessibilità sul lavoro e un altro 18% dei casi ha abbandonato volontariamente il lavoro perché “si vive una volta sola”.
Se questa classifica molto esplicativa viene traslata alla realtà regionale, non è difficile rintracciare la ragione della più alta propensione alle dimissioni, soprattutto dei più giovani, in Umbria: se è vero che il rapporto costi-benefici derivanti dallo svolgimento di un lavoro è diventato un riferimento tra i più importanti nell’indirizzare le proprie scelte lavorative, da questo punto di vista il territorio umbro non offre, nella generalità dei casi, condizioni particolarmente allettanti, visto che le retribuzioni continuano a stazionare su livelli medi di circa dieci punti inferiori a quelli nazionali (La contrazione dei redditi ai tempi della pandemia) e il tasso di dipendenti sovra istruiti continua a essere il più alto di tutte le regioni italiane. In questo quadro le ragazze e i ragazzi che lavorano in Umbria risultano doppiamente penalizzati: per redditi fisiologicamente più bassi in quanto all’inizio della carriera lavorativa e perché scontano un gap retributivo rispetto ai coetanei nazionali impiegati nel settore privato che sale da 6 a 14 punti percentuali se il confronto si sposta dall’Italia al Centro-Nord (Poveri giovani).
Alla luce di queste considerazioni, non dovrebbe sorprendere questa maggiore mobilità lavorativa: i giovani che lavorano in Umbria manifestano una più alta propensione a dimettersi da un lavoro a tempo indeterminato rispetto ai coetanei italiani (anche) perché avrebbero un motivo più stringente che li spinge a ricercare un’occupazione più appagante.
Note
[i] I dati qui di seguito commentati sono tratti dall’Osservatorio sul precariato, di fonte INPS. L’Osservatorio contempla un campo di osservazione specifico, ovvero i lavoratori dipendenti delle imprese extra-agricole; non sono inclusi gli operai del settore primario né il lavoro domestico; sono invece comprensivi dei dipendenti del settore pubblico impiegati negli Enti pubblici economici.