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Tondini
Elisabetta Tondini
Agenzia Umbria Ricerche
Focus AUR
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Il lavoro in Umbria al 2022

24 Mag 2023
Tempo di lettura: 10 minuti

La ripresa delle forze di lavoro, in Umbria, è solo accennata
Osservando l’evolversi dei due grandi aggregati (forze di lavoro e inattivi) che compongono la popolazione con oltre 15 anni nell’arco di tempo che precede e che segue la crisi pandemica (2019-2022) si osservano due macro fenomeni territorialmente diffusi: calano le forze di lavoro (in Umbria più che altrove, -12 mila in soli 4 anni) e, per converso, aumentano le persone inattive (+6.600 nello stesso periodo), in particolare quelle che non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare, a causa della fuoriuscita della generazione dei boomers dalla fascia in età lavorativa e del generale invecchiamento della popolazione.

Il 2022 presenta tuttavia un segnale in controtendenza: le forze di lavoro, ovvero gli occupati e le persone in cerca di lavoro, in Italia tornano ad aumentare (in Umbria rimangono stabili) perché diminuiscono gli inattivi, presumibilmente per il rientro sul mercato di persone fuoriuscite per diversi motivi durante il periodo pandemico o per l’ingresso di nuove persone che, in un anno segnato da una potente spinta inflazionistica e da un forte aumento dei prezzi, sono state spinte dalla necessità di trovare un impiego.

Il fenomeno occorso nell’ultimo anno in esame acquista un significato più pregnante se l’analisi degli aggregati si circoscrive alla fascia lavorativa, ovvero quella dei 15 – 64 anni. In questo caso si osserva come la ripresa della forza lavoro, conclamata in Italia e soprattutto al Centro-Nord, in Umbria sia solo accennata. E ciò perché nella regione è stata, da un lato, più contenuta la contrazione degli inattivi, dall’altro, più accentuato il calo a della popolazione in età lavorativa, la quale prosegue a ritmo crescente, con un tasso di decrescita più elevato rispetto a Italia, Centro, Nord sia nel passaggio 2021-2022 (-0,9%) sia nell’arco degli ultimi quattro anni (-2,2%).

Se questo è il quadro dove si muovono le grandezze demografiche, ecco sommariamente cosa è successo nel 2022 sul fronte lavorativo in Umbria: tornano a diminuire di un po’ gli occupati e a crescere i disoccupati (ma poi vedremo di quali disoccupati si tratta), mentre le forze di lavoro potenziali, esplose nel 2020, continuano la loro discesa, iniziata nel 2021, riportando il mercato verso un assetto più fisiologico.

Un’occupazione che invecchia
Nel 2022 gli occupati in Umbria perdono 2 mila unità (-0,6% rispetto al 2021), equamente divise tra uomini e donne. Si tratta di un calo lieve che però, anche a fronte della forte ripresa dell’anno precedente, non permette alla regione di recuperare i livelli dell’anno pre pandemico (-1,7%).

Aumentano invece gli occupati In Italia, Nord e Centro (+2,4%, +2,1%, +3,1% rispettivamente) anche se l’area settentrionale del paese – a differenza delle altre – non riesce a recuperare valori superiori a quelli del 2019.

La perdita di occupati umbri interessa soprattutto la fascia 25-49 anni, che perde 5.900 persone: in particolare, gli uomini registrano un calo di 2.200 unità tra i 25-34enni (-6,5% rispetto al 2021), mentre tra le donne la diminuzione più sostenuta (-5,8%) si verifica nella fascia 35-49 anni, che perde 3.900 unità.

La recessione del 2020 ha colpito ovunque i 35-49enni (-5,6% in Italia, -6,6% al Nord, -6,2% al Centro, -5,9% in Umbria), ancora ben lontani dal recuperare i livelli 2019, tuttavia nella regione si aggiunge una contrazione del -7,1% tra i 25-34enni, in controtendenza rispetto a quanto occorso altrove.

Questo fenomeno, che si esplica in un tendenziale invecchiamento dell’occupazione, è certamente conseguente all’assottigliamento demografico delle fasce d’età in esame: l’Umbria, dal 2019 al 2022, perde quasi 6 mila persone tra i 25 e i 34 anni (-6,4%, a fronte del -4,4% nazionale) e 13.662 persone (-7,5%) dai 35 ai 49 anni, anche in questo caso un po’ più del calo italiano (-7,2%).

Aumenta il lavoro alle dipendenze (maschile) e continua il declino del lavoro autonomo
Il quadro dell’andamento occupazionale è fatto di molte sfaccettature.
Dal 2021 al 2022 il lavoro alle dipendenze è cresciuto in Umbria (+0,5%) seguendo una ripresa che, in linea con il trend dell’area settentrionale del Paese, l’ha portata a superare persino i livelli del 2019 (+0,8%). Ma sono gli uomini a crescere ininterrottamente, mentre le donne, nell’ultimo anno, sono lievemente diminuite.

Invece il lavoro indipendente ha continuato a flettere, per una diminuzione in Umbria del 3,7% rispetto al 2021 e addirittura del 9% rispetto ai livelli del 2019, seguendo un trend in continua discesa. In questo caso, il calo è attribuibile quasi esclusivamente alla componente maschile (-5,5%). Se poi il confronto viene effettuato rispetto al 2019, si scopre che le lavoratrici autonome crescono dell’1,3%, mentre gli uomini perdono il 13,9%, corrispondente a 8.500 unità in meno.

Quello del depauperamento della compagine autonoma è un fenomeno che caratterizza, da circa quindici anni, tutto il territorio nazionale. Tuttavia, in un declino che nel 2022 supera il 5% rispetto al 2019 (e che sfiora l’8% nelle regioni del Centro), l’ultimo anno ha visto un’inversione di tendenza, per certi aspetti anomala. Resta il fatto che il corposo numero di professionisti, imprenditori, artigiani, consulenti e freelance che lavorano in proprio è una fattispecie lavorativa che continua a contraddistinguere il nostro Paese il quale spicca, dopo la Grecia, per la più alta percentuale di lavoratori autonomi sul totale.

L’Umbria, ancora più dell’Italia, si connota per una quota di lavoratori indipendenti strutturalmente più elevata e, nonostante la perdita di oltre 8 mila unità dal 2019 al 2022, la componente autonoma continua a pesare per un 23,4% sul totale degli occupati della regione, a fronte del 21,5% dell’Italia (nel 2019 tali quote erano rispettivamente pari a 25,3% e 22,8%).

L’esito di questi fenomeni ha determinato per l’Umbria un aumento, all’interno di una posizione professionale segnatamente maschile, della presenza relativa di donne che, nel 2022, si attesta al 36,1%, la più alta rispetto alle altre aree di riferimento.

Un’occupazione più istruita, ma solo al maschile
La struttura occupazionale umbra per titolo di studio conserva nel 2022 la sua struttura tipica: una più alta concentrazione di diplomati, che superano la metà (a fronte di un 46,2% nazionale), un quarto di lavoratori con istruzione terziaria (livello che nelle regioni centrali arriva al 27,5%) e un 23,7% con un titolo di studio che si ferma alla licenza di scuola media (il livello più basso rispetto alle altre aree benchmark).

Che le donne studino di più lo dimostrano anche i dati del mercato del lavoro: tra le lavoratrici umbre la quota delle laureate sale infatti al 31,6% (toccando quasi la media nazionale) e quella delle meno istruite (17,6%) rimane la più bassa rispetto alle aree benchmark. Su versante maschile i laureati non arrivano neanche a un quinto del totale mentre i possessori del livello di istruzione più basso salgono al 28,5%.

Detto ciò, è utile ricordare che la regione si caratterizza per il più alto tasso di lavoratori sovra istruiti d’Italia (il 33,1%, a fronte del 26,0% nazionale) che, per le occupate salta al 37,2%, seguite a distanza da quelle del Molise (con il 33,1%, a fronte del 28,1% della media nazionale).

La composizione umbra degli occupati per titolo di studio ci permette di dire che il calo delle persone con un impiego verificatasi nel 2022 ha interessato i meno istruiti (-6,4% rispetto al 2021), per un aumento invece di quelle con secondo e terzo grado di istruzione, anche se i diplomati non hanno riacquistato i livelli ante pandemia.

Il mercato che incorpora un più alto grado di istruzione si dimostra però iniquo da un punto di vista di genere: di fatto, la crescita dei laureati è di esclusivo appannaggio della componente maschile (+6,1% dal 2021 al 2022) perché le occupate con laurea diminuiscono (-2,7%) e quelle diplomate accrescono la partecipazione al mercato del lavoro (+4,0%).

Questi fenomeni determinano in definitiva un’attenuazione del grado di femminilizzazione dell’occupazione umbra con istruzione terziaria (che rispetto al 2019 scende al 56,4%) e un innalzamento di quello dell’occupazione con istruzione secondaria (che sale al 44,4%).

Quanto successo all’occupazione umbra è in controtendenza rispetto a ciò che è occorso nelle aree benchmark. Infatti, dal 2021 al 2022 l’aumento occupazionale in Italia si verifica per tassi crescenti al crescere del livello di istruzione e in maniera equa tra i generi. Al Nord, aumentano relativamente di più i laureati che le laureate (anche se queste ultime hanno beneficiato di una crescita sostenuta rispetto al 2019) e, nel Centro, i laureati continuano a calare mentre le laureate compiono un balzo del 6,6% nell’ultimo anno (e uno del 5,1% rispetto al 2019).

Continuano a salire i contratti a termine, soprattutto se si è donne
Se l’occupazione umbra alle dipendenze nel 2022 è aumentata, lo si deve alla componente a termine, che cresce del 6,6% (pari a oltre 3 mila persone), mentre i lavoratori a tempo indeterminato calano dello 0,8% (-1.900 unità).

Anche osservando il mercato da questa ottica, si nota un nuovo inasprimento delle differenze di genere: la componente maschile alle dipendenze aumenta su entrambi i fronti (+1,3% e +2,4% rispettivamente), registrando un particolare balzo nei contratti indeterminati che rispetto al 2019 aumentano di quasi 6 mila unità. All’opposto, continua per il secondo anno consecutivo il declino delle donne con contratti a tempo indeterminato (4.500 in meno rispetto al 2019) mentre si allarga la loro partecipazione al lavoro per il mercato con i contratti a termine (2.500 in più nell’ultimo anno).

Nelle altre aree l’aumento dal 2021 al 2022 della componente a tempo indeterminato investe entrambi i generi, anche se in maniera più elevata quello maschile. Sul fronte dei contratti a termine, si riconferma il relativo maggiore ricorso nei confronti delle lavoratrici, testimoniato da tassi di crescita ovunque molto più elevati di quelli attribuibili agli uomini.

Il calo del part time
I dati del 2022 in Umbria mostrano un calo dell’occupazione part time che si porta a 65 mila unità (erano 69 mila l’anno precedente e 73 mila nel 2019). La diminuzione dei contratti a tempo parziale nell’ultimo anno interessa esclusivamente la componente femminile (-9,2%), in controtendenza anche rispetto al trend delle altre aree. Il confronto del 2022 rispetto a tre anni prima conferma invece una generalizzata contrazione di questa forma contrattuale per entrambi i generi e per tutte le aree benchmark.

La tendenza in corso ha contribuito a ridurre la quota del lavoro a tempo parziale che, in Umbria, si abbassa al 18,3% (in linea con la media nazionale), con un 8,8% tra gli uomini (un po’ più della media italiana) e un 30% tra le donne, la quota più bassa rispetto alle aree di riferimento (solo tre anni prima il part time femminile aveva sfiorato il 35%).

Questa tendenza si correla a una generalizzata riduzione del part time involontario.

Nel 2022 la quota dei lavoratori che dichiarano di svolgere un lavoro part time solo perché non ne hanno trovato uno a tempo pieno scendono al 10,5% (1 punto in meno rispetto al 2021 e 3 rispetto al 2019), sostanzialmente per un più contenuto apporto femminile: nel 2022 le donne impiegate con un part time involontario in Umbria – così come in Italia – sono poco più di 16 su 100 (erano più di 23 nel 2019).

Tasso di occupazione: in Umbria cresce per il calo della popolazione in età lavorativa
Dal 2021 al 2022 il tasso di occupazione 15-64 anni cresce considerevolmente in Italia, al Nord, al Centro e anche in Umbria, ove arriva a sfiorare il 65% (dato più elevato di quello del 2019) per l’effetto di una diminuzione della popolazione in età lavorativa più marcata rispetto a quella del numero di occupati occorso nell’ultimo anno.

Il tasso di occupazione, il cui livello risente dell’effetto congiunto del numeratore (occupati) e del denominatore (popolazione), acquista un significato più stringente se lo si associa al livello di istruzione. In tal caso il dato più interessante per l’Umbria è il più basso valore associato alle persone con istruzione terziaria, inferiore anche al valore italiano, come indicatore sia totale (79,9% contro 80,6%) sia maschile (83,2% a fronte di 84,7%), per un allineamento invece in corrispondenza della compagine femminile (77,7%). Un dato, questo, speculare al più alto tasso di disoccupazione dei laureati umbri, per la nota, persistente difficoltà di trovare un’appropriata collocazione lavorativa sul mercato locale.

L’analisi di questo indicatore per fasce d’età rivela un’Umbria che, pur caratterizzata da valori diffusamente distanti da quelli propri delle regioni del Nord, tra le persone dai 55 ai 64 anni mostra un tasso di occupazione superiore, in particolare tra le donne (54,2% contro 50,9%).

All’opposto, il gap maggiore è attribuibile alla fascia d’età 25-34 anni, per cui tra gli uomini sale a 10 punti.

L’Umbria, rispetto alle regioni centrali, spunta un tasso di occupazione superiore a 3 punti percentuali in corrispondenza dei 35-44enni.

I servizi ancora sotto i livelli 2019
Sono due i settori che in Umbria, dal 2021 al 2022, hanno determinato il calo occupazionale complessivo, ovvero le Costruzioni (-4.400 unità, pari al -16,5%) e le attività di servizi diversi dal commercio e dalle attività ricettive e di ristorazione (-2.600, pari a -1,6%). La perdita di complessive 7 mila unità è stata fortemente contrastata soprattutto dal settore agricolo (con 2.400 unità in più, pari a +23,4%) e dalle attività commerciali e turistiche (+2.100, ovvero +2,9%). Nonostante tale ripresa, si tratta di due settori che si caratterizzano per valori ancora lontani da quelli raggiunti nel 2019. In particolare, nel settore commerciale e delle attività di ristorazione e ricezione l’Umbria si trova al 2022 con 4.500 occupati in meno rispetto al 2019.

L’industria in senso stretto, nonostante una lieve crescita, staziona su valori comunque molto più elevati di quelli del 2019 a causa del forte balzo in avanti occorso nel 2021.

Altrove, ad eccezione della contrazione del numero di occupati nel settore primario, si registrano incrementi settoriali diffusi. Tuttavia va sottolineato che il settore industriale in Umbria ha recuperato ampiamente il livello ante pandemia, a differenza delle regioni del Nord (l’Italia è in pareggio e quelle del Centro hanno recuperato a ritmi meno intensi di quelli umbri). I servizi, nelle sue due componenti, ancora si pone ovunque sotto i livelli pre crisi, e l’Umbria manifesta da questo punto di vista la posizione più arretrata.

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