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Elisabetta Tondini
Agenzia Umbria Ricerche

Il nuovo protagonismo dei tempi indeterminati

9 Feb 2023
Tempo di lettura: 7 minuti

In Umbria, come in Italia, nei primi nove mesi del 2022 è continuata la ripresa del mercato del lavoro segnata da incrementi dei flussi di assunzioni, cessazioni, variazioni contrattuali rispetto al periodo pre pandemico.

Stando ai dati diffusi dall’Inps relativi ai dipendenti delle imprese extra-agricole[i], le assunzioni attivate da gennaio a settembre in Umbria sono state oltre 72 mila, con un aumento del +18,2% rispetto allo stesso periodo del 2021 (17,0% in Italia). L’incremento, che ha investito tutte le tipologie contrattuali, è stato particolarmente evidente per il tempo indeterminato (+36,3% a fronte del 28,9% italiano).

La vitalità del mercato nel periodo in esame si è manifestata anche sul fronte delle cessazioni, cresciute nei primi nove mesi del 2022 di 63.606 unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+27,2% rispetto al +23% italiano) e, per i tempi indeterminati, è stata di quasi un quarto nella regione (di poco più di un quinto in Italia).

“Nel 2022 prosegue il rimbalzo del 2021 ma le posizioni di lavoro aggiuntive mostrano una flessione”

La perdurante risalita dei flussi verificatasi nei primi nove mesi del 2022 ha confermato la totale ripresa del mercato rispetto al periodo pre pandemico (2019) che, in Umbria, si è caratterizzata per ritmi più sostenuti che in Italia.

Nella regione, le figure maggiormente coinvolte sono quelle femminili: le donne aumentano nel complesso (sia rispetto al 2021 che rispetto al 2019) più degli uomini sia nelle assunzioni che nelle cessazioni.

Una parte delle cessazioni si concretizza in flussi di trasformazioni e spostamenti – in aumento rispetto al 2021 – di posizioni di altra natura. La netta ripresa dei tempi indeterminati, nella fattispecie, ha avuto una spinta (+7.095 unità) dal versante delle variazioni contrattuali delle forme a termine (aumentate in Umbria del 71,3% a fronte del +61% in Italia) e dalle conferme dei rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo (+1.821 unità), per un aumento del 14% rispetto all’anno precedente (+8% in Italia).

“Continua la crescita delle dimissioni, ma si attenua l’aumento del tasso di abbandono volontario del lavoro”

Anche nelle trasformazioni in tempi indeterminati complessivamente considerate la componente femminile è stata protagonista di una variazione più elevata di quella maschile, ma limitatamente al passaggio 2021-2022.

Le variazioni contrattuali e i saldi netti
L’andamento congiunto di queste grandezze, ovvero la differenza dei flussi in entrata e in uscita, comprensiva delle trasformazioni contrattuali, è esplicativa della portata del fenomeno in termini di posizioni di lavoro: nel complesso, nel periodo osservato, il saldo netto delle posizioni, pari a 8.675 rapporti di lavoro, mostra una flessione soprattutto rispetto all’anno precedente, a sottolineare un allentamento della forte spinta che aveva caratterizzato la ripresa del mercato nel 2021 che, in Umbria, era stata particolarmente sostenuta (11.159 unità a fronte delle 8.733 del 2019).

Le dimissioni
Continua la crescita delle dimissioni (nei primi nove mesi del 2022 in Umbria se ne sono contate oltre 20 mila), sostanzialmente per effetto dell’ampliamento dei flussi in uscita. Infatti, il tasso di dimissioni, dopo il balzo del 2021, si stabilizza, in Umbria così come in Italia. La propensione all’abbandono volontario dal lavoro continua ad essere un fenomeno molto più consistente tra i tempi indeterminati e la regione, pur continuando a caratterizzarsi per tassi di dimissione più elevati che in Italia, mostra tuttavia un avvicinamento ai valori nazionali.

Se si osserva la curva delle dimissioni cumulate annue in Umbria spicca la flessione, per tutti i tipi di contratto, in corrispondenza dell’anno dello scoppio della pandemia, quando il mercato del lavoro, in molti ambiti di attività, si è congelato. Dopodiché, con la ripresa del movimento dei flussi, torna a crescere, segnando un rallentamento a partire dall’estate 2022. Se anche questo fenomeno può essere letto come il ritorno a una nuova normalità, un fatto è certo: rispetto a un passato neanche tanto lontano la propensione ad abbandonare volontariamente il lavoro è incontrovertibilmente cresciuta.

I settori
Se nel periodo gennaio-settembre 2021 erano stati privilegiati i contratti a termine (soprattutto nel settore secondario e nel commercio, ma quest’ultimo con un’alta presenza di contratti intermittenti), nel 2022 si evince una netta prevalenza della durata indeterminata, anche frutto di conversioni contrattuali:  le 8.675 posizioni di lavoro aggiuntive totali, inferiori di quasi 2.500 rispetto all’anno precedente, che afferiscono per il 37 per cento al settore Commercio, trasporto e magazzinaggio, alberghi, e pubblici esercizi, in quasi 1.300 casi si tratta di contratti a tempo indeterminato (836 stagionali e 881 intermittenti); sono contratti a tempo indeterminato più della metà delle 1.532 posizioni nette aggiuntive dell’industria in senso stretto e quasi la maggioranza le 1.465 delle costruzioni. Invece, le 1.688 posizioni lavorative aggiuntive attivate dai servizi professionali, scientifici e tecnici, amministrativi e di supporto sono in 1.257 casi contratti di somministrazione.

La tendenza delle posizioni di lavoro
Al di là degli andamenti congiunturali, può essere utile apprezzare il fenomeno della dinamica delle posizioni di lavoro lungo lo scorrere degli ultimi tre anni. Allo scopo si utilizza il saldo annualizzato, che è un saldo cumulato ricostruito a ritroso fino a settembre 2019, costruito per identificare la variazione tendenziale – su base annua, appunto – delle posizioni di lavoro in essere alla fine di ogni mese.

Osservando l’andamento di tale grandezza si evince la compressione dei livelli occupazionali in corrispondenza dello scoppio della pandemia e una lenta ripresa già a partire da luglio 2020. Ma è dal mese di marzo 2021 che si torna ad avere valori positivi del saldo, dunque il completo e continuo recupero dei livelli occupazionali, in Umbria così come occorso in Italia. A partire dalla primavera dell’anno appena trascorso si evince infine un declino della curva, a dimostrazione di un rallentamento della dinamica dei rapporti di lavoro netti aggiuntivi.

Entrando nel merito delle forme contrattuali, i tempi indeterminati, a parte il recupero di fine 2020, mostrano un calo tendenziale che si protrae per un anno, in controtendenza rispetto al sostanziale aumento, seppure oscillante, delle posizioni a termine. Poi, da maggio 2022, si verifica un cambio di rotta: cresce il saldo netto annualizzato dei tempi indeterminati e flette quello dei tempi determinati, anche in virtù dei crescenti processi di conversione contrattuale.

Sulla base dei valori cumulati, si può dire che a settembre 2022 in Umbria si registrava un saldo positivo pari a 6.219 posizioni di lavoro in più rispetto a settembre del 2021. Per il tempo indeterminato la variazione risulta pari a 3.953 unità aggiuntive, mentre per l’insieme delle altre tipologie contrattuali la variazione complessiva è pari a 2.266 unità in più (di cui quasi la metà contratti intermittenti e solo 570 i contratti a termine).

È dunque netto lo spostamento del mercato verso i tempi indeterminati, in Umbria così come nel resto in Italia.

“La tendenza positiva del mercato è segnata dal forte recupero dei tempi indeterminati, anche a seguito delle conferme delle imprese delle posizioni a termine”

Rispetto a settembre 2019 – dunque prima dello scoppio della pandemia – vi è stata una crescita delle posizioni di lavoro a tempo indeterminato pari a +9.007 unità, in un aumento complessivo di posizioni di lavoro di 13.362. Positivo risulta anche l’andamento delle altre tipologie contrattuali, che registrano una variazione complessiva di 4.355 unità.

La compagine femminile amplifica il suo protagonismo soprattutto rispetto al 2021, segno evidente che la forte ripresa dell’occupazione di quell’anno aveva premiato soprattutto gli uomini.

Il ritorno a una nuova normalità può essere altrimenti raffigurato attraverso l’andamento annualizzato dei flussi di assunzioni e cessazioni che, dopo la compressione iniziata con lo scoppio della pandemia e trascinatasi per oltre un anno, tornano ad espandersi, sia sul fronte delle assunzioni sia sul fronte delle cessazioni, riproponendo un quadro dalla trama molto più fitta di posti di lavoro che si generano, si distruggono, si trasformano, in un contesto dove convivono nuove imprese che entrano sul mercato o di altre operanti che si espandono e – al contrario – imprese che fuoriescono o contraggono la loro compagine lavorativa. Lette dal punto di vista della offerta di lavoro, queste transizioni esprimono, oltre alla fuoriuscita dal mercato per sopraggiunto limite di età o per volontà di interrompere contratti di lavoro non soddisfacenti, l’esito di ricollocazioni mosse dalla ricerca di condizioni migliori.

In sintesi, se è vero che il mercato del lavoro è tornato a percorrere un sentiero di crescita simile a quello pre pandemico, pur con un rallentamento degli ultimi mesi, oggi, rispetto al passato, si distingue per una evidente peculiarità: ritorna il protagonismo del tempo indeterminato, sia come nuove assunzioni, sia come trasformazioni di posizioni temporanee attivate nei mesi precedenti.

Questo, fino a settembre 2022. In attesa di conoscere quanto occorso a livello regionale nell’ultimo trimestre dell’anno appena trascorso, nel frattempo i dati Istat sulla Rilevazione continua delle forze lavoro a dicembre ci parlano di un aumento tendenziale dell’occupazione su base nazionale.

 

Note
[i] I dati qui di seguito commentati sono tratti dall’Osservatorio sul precariato, di fonte INPS. L’Osservatorio contempla un campo di osservazione specifico, ovvero i lavoratori dipendenti delle imprese extra-agricole; non sono inclusi gli operai del settore primario né il lavoro domestico; sono invece comprensivi dei dipendenti del settore pubblico impiegati negli Enti pubblici economici.