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Giuseppe Coco
Agenzia Umbria Ricerche

Il Pil che spaventa

25 Nov 2019
Tempo di lettura: 2 minuti

Se si focalizza l’attenzione sull’andamento del Pil pro capite delle Province di Perugia e Terni, nel confronto con la media dei Paesi europei l’animo può venire assalito da una sorta di sconforto. Oggettivamente i territori umbri arrancano.

Dal grafico riportato si vede che la provincia ternana fino al 2004 si mantiene in linea con il dato europeo ma poi inizia una inesorabile discesa: si trova ormai a circa quota -25 rispetto al 100 europeo. La provincia perugina fino al 2009 presenta valori buoni anche se via via decrescenti. Poi, facendo ricorso ad una metafora, inizia il viaggio sott’acqua e l’ultimo dato disponibile fissa punto di apnea intorno a quota 85. E pensare che nel 2000 era decisamente al di sopra. Qualcosa vorrà pur dire.

La questione di fondo è che da qualche anno si sta consumando un allontanamento dal gruppo di regioni europee che vanno meglio. Nell’indice di competitività regionale, stilato dalla Commissione europea, giusto per aggiungere un dato, l’Umbria si trova al 184° posto sulle 268 regioni dell’UE.
Nella sostanza il nostro sistema socio-economico negli ultimi 15 anni è divenuto meno performante, iniziando a ruotare su se stesso e questo ha avuto come risultato che hanno preso a scricchiolare anche molte delle fondamenta che si credevano solide.

La situazione è di quelle non facili da affrontare. Certi andamenti alla lunga vanno ad incidere, oltre che sul presente, anche sul modo con cui si guarda al futuro e su come lo si percepisce e progetta. E questo potrebbe rivelarsi un grave problema perché in economia la partita delle aspettative gioca un ruolo molto importante.

Le questioni sul tavolo sono colme di variabili spesso sfuggenti. Le sfide che lancia l’attuale modernità sono tante e complesse e – spesso lo si trascura – non arranca solo chi riesce a coniugare in modo compiuto il binomio “Ricerca e Innovazione”. Non è una coincidenza che le regioni europee che vanno meglio sono proprio quelle che hanno saputo mettere a sistema – e fatto fruttare – il suddetto binomio.

In questo scenario se si vuole guardare al futuro come ad un’opportunità e non a un qualcosa che fa paura ci sarebbe bisogno di una convergenza di intenti di tutti gli attori locali, pubblici e privati. Ci sarebbe bisogno di portare sul piano nazionale ed europeo le numerose questioni che non si possono affrontare a livello regionale – in quanto richiedono altri tipi di strumenti. Ci sarebbe bisogno di mettere da parte le spinte localistiche, anche se vissute dalle comunità semplicemente come rifugio culturale. Ci sarebbe bisogno di abbandonare l’atteggiamento introflesso e difensivo. E in conclusione, ci sarebbe bisogno di non dimenticare mai che nella nostra era dove il digitale detta tempi, metodi e modi, quello che resiste alle pressioni del mondo non è quello che abbiamo nascosto ma quello che abbiamo aperto al mondo e lasciato che si trasformasse con esso.

Per Oscar Wilde: “L’esperienza è il tipo più difficile di insegnante: prima ti fa l’esame, poi ti spiega la lezione”.

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