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Tondini
Elisabetta Tondini
Agenzia Umbria Ricerche
Focus AUR
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Mauro Casavecchia
Agenzia Umbria Ricerche

In Umbria le pensioni attutiscono la perdita di Pil

4 Giu 2019
Tempo di lettura: 4 minuti

La lunga crisi ha travolto una piccola Umbria, già fortemente indebolita, che ancora stenta a riprendersi. Reiterati cali hanno fatto perdere in un decennio il 15,6 per cento di PIL reale regionale, per una contrazione media annua dal 2007 al 2017 dell’1,7 per cento, più del triplo della diminuzione occorsa su base nazionale.

Il PIL pro capite umbro è in progressivo allontanamento dalla media italiana, per una distanza che nel 2017 tocca il suo massimo, sfiorando i 15 punti (erano 4,4 nel 2007, posta l’Italia uguale a 100): in tale anno, a ogni umbro spetterebbero 24.326 euro correnti di reddito prodotto, a fronte dei 28.494 medi nazionali.

Livelli reali di Pil pro capite (migliaia di euro concatenati 2010)

Insomma, in Umbria si produce sempre meno reddito, in termini assoluti ma anche relativi, in rapporto cioè alla sua popolazione, che tra l’altro sta calando e diventa sempre più vecchia.
Il quadro che ci restituisce l’analisi del PIL risulta tuttavia un po’ disallineato rispetto alla capacità degli umbri di mantenere un certo tenore di vita, anche negli anni più neri. Perché una cosa è parlare di quanto viene prodotto dal sistema regionale al suo interno, un’altra è fare i conti con quanto, alla fine, le famiglie residenti hanno effettivamente a disposizione quali soggetti percettori di introiti di varia natura.
Nel passare dalla osservazione del reddito che si genera dentro un territorio per effetto dei meccanismi produttivi che lo caratterizzano a quello che ne consegue dopo gli esiti redistributivi emerge una fotografia relativamente un po’ meno negativa per la regione: il reddito disponibile pro capite delle famiglie consumatrici umbre, pure inferiore a quello medio nazionale (fino al 2013 era un po’ più alto), mostra una distanza dal contesto italiano molto più contenuta (2,5 punti) rispetto a quanto rilevato in termini di PIL unitario. Questo perché, intanto, il reddito detenuto dalle famiglie ingloba l’esito delle operazioni che le stesse compiono anche al di fuori del territorio di residenza ma soprattutto perché i processi redistributivi favoriscono l’Umbria in maniera duplice: in estrema sintesi, rispetto alla media nazionale, pesa relativamente di meno il sistema fiscale e incide relativamente di più quello delle prestazioni sociali. Alla fine, l’Umbria risulta dunque favorita. Per molti anni è stata non a caso l’unica regione in tutta Italia che, da un reddito primario pro capite inferiore alla media nazionale, dopo il processo redistributivo finiva per superare il Paese in termini di reddito disponibile. Tuttavia, a partire dal 2014 (ma come già occorso nel 2009), anche il reddito delle famiglie consumatrici umbre finisce per portarsi – come il reddito primario – al di sotto del livello nazionale: 18 mila euro correnti nel 2017 in Umbria contro i 18,5 mila dell’Italia.

Reddito disponibile pro capite delle famiglie consumatrici (euro correnti)

Se poi il reddito disponibile viene osservato secondo un’ottica distributiva, l’Umbria presenta una situazione strutturalmente più favorevole di quella italiana, in virtù della più equa distribuzione che tradizionalmente caratterizza la regione. Così, il reddito mediano annuale, quello cioè che divide a metà le famiglie ordinandole dalla più povera alla più ricca, è pari a 31.004 euro per quelle umbre e a 29.778 per le italiane (dato 2016).

Reddito mediano annuale delle famiglie (euro correnti inclusi i fitti imputati)

Che nella stima del reddito disponibile e dunque nella sua distribuzione giochi per l’Umbria un ruolo importante il sistema delle prestazioni sociali e dei trasferimenti pubblici è suffragato dai dati: la tipologia familiare la cui fonte di reddito principale è costituita da pensioni e trasferimenti pubblici può contare, in Umbria, di un reddito mediano pari a 23.170 euro correnti (20.713 euro in Italia), secondo nella graduatoria regionale solo a quello dell’Emilia Romagna (che primeggia con 24.693 euro). Un dato non irrilevante, visto che questo tipo di famiglie rappresenta in Umbria il 41 per cento del totale, a fronte del 39 per cento italiano (e al 36 per cento dell’Emilia Romagna).
Potremmo dire insomma che la funzione di ammortizzatore sociale svolta dalle pensioni è stata strategica in questi difficili lunghi anni, soprattutto in regioni ad alto tasso di invecchiamento come l’Umbria, riuscendo a garantire un introito certo a una fetta di popolazione, soprattutto quella anziana, la quale nel frattempo ha perso il triste primato di categoria sociale più povera. Di fatto, i trasferimenti pubblici hanno in parte tamponato capacità produttive complessivamente declinanti e una configurazione demografica sempre più sbilanciata. Ma l’Umbria invecchia, diventando terra di anziani e l’effetto di dipendenza andrà amplificandosi di fronte a un sistema pensionistico che sta arrancando. È chiaro che lo scenario che si prefigura risulta economicamente e socialmente insostenibile e già molti segnali ci dicono che questa situazione non potrà durare a lungo.

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