Focus
Giuseppe Coco
LA clessidra orizzontale
Come stiamo cambiando? Come saremo tra dieci anni? Riusciremo a riportarci sullo stesso livello di ricchezza del 2008? Ecco alcune domande ben presenti in questo nuovo numero di Aur&s dove emerge chiaramente che non c’è cambiamento che non sia governabile, a patto di essere disponibili a non avvitarsi su confini culturali che a volte hanno fatto il loro tempo. Marshall McLuhan sosteneva che “niente è inevitabile fintantoché c’è la volontà di contemplare ciò che sta accadendo”.
Viviamo in un’epoca dove l’accelerazione del progresso tecnologico non è semplice retorica. Davanti a noi c’è una realtà nuova che se da un lato ci intriga per la scoperta di orizzonti inediti dall’altro ci agita amplificando i nostri timori su un futuro che facciamo spesso fatica a mettere a fuoco. Il fatto ormai acclarato è che tutti noi siamo coinvolti in una qualche mutazione. Le sfide che lancia la nostra modernità sono tante e complesse e sembra non arretrare solo chi riesce a essere creativo-innovativo in quello che propone. Siamo di fronte ad una amplificazione all’ennesima potenza dei bisogni di nuovi gusti, di nuove tendenze, che mettono a dura prova anche le certezze (leggi identità) che fino a ieri sembravano più solide.
Il nostro impianto socio-economico negli ultimi dieci anni ha fatto registrare grandi mutazioni la cui intensità non è neanche paragonabile a ciò che era avvenuto nei precedenti quarant’anni: abbiamo iniziato a ruotare su noi stessi col risultato che stanno scricchiolando tutte, ma proprio tutte, le nostre fondamenta. In Umbria, ad esempio, il Pil pro capite reale è passato dai 26.717 euro del 2008 ai 22.352 del 2016, per una erosione mensile da 2.226 a 1.863 euro. Questi dati è chiaro che alla lunga vanno a incidere, oltre che sugli stili di vita (singoli e collettivi), anche sul modo con cui si guarda al domani e su come lo si percepisce.
La sensazione generale è di essere giunti in un momento in cui non è opportuno giocare troppo al rilancio. Bisognerebbe prendersi i giusti tempi per pensare ovvero soppesare il da farsi per affrontare al meglio tutte le situazioni che ci stanno trasformando e, diciamocelo con franchezza, a volte indebolendo. Non è mai buona cosa cedere alla tentazione di rincorrere esclusivamente il presente. Non dimentichiamoci che a volte il nuovo è solo un’illusione di futuro che, invece, per essere veramente tale necessita delle categorie di progetto e progresso. Inoltre, abbiamo a che fare con un grosso guaio se il presente invade il futuro e lo ingabbia.
Il rischio più grosso in cui si incorre nei grandi momenti di cambiamento è porre tutto sullo stesso livello che, in altre parole, significa che non stiamo pensando bene ma stiamo (inconsapevolmente) favorendo una sorta di società dell’equivalenza che calma le sue ansie divorando, sui vari media, ore e ore di politica degli annunci, di economia della promessa e, hegelianamente parlando, di uguaglianza dell’irrilevanza.
Al liceo una mia professoressa mi ripeteva sempre: “a volte le cose sono semplicemente quelle che sembrano”. E questo nella consapevolezza che non si ferma il tempo mettendo la clessidra in orizzontale.