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Mauro Casavecchia
Agenzia Umbria Ricerche

La cultura come motore di sviluppo

15 Ott 2018
Tempo di lettura: 3 minuti

L’Umbria è la regione italiana con la maggiore diffusione di musei sul territorio: se ne possono contare 175, praticamente uno ogni 5.000 abitanti. Si tratta naturalmente per lo più di piccoli musei locali, mentre è bassa l’incidenza degli istituti statali. Tuttavia i musei locali evidenziano una solida propensione alla rete, infatti, la grande maggioranza di essi aderisce al circuito del Sistema museale dell’Umbria e sono in corso sperimentazioni di biglietto unico per i circuiti più ristretti, come quello di Umbria Terre Musei.
Se, portando all’estremo questa vocazione all’integrazione, provassimo ad immaginare i 175 musei dell’Umbria città-regione alla stregua di un unico grande istituto, questo ipotetico “Museo unico dell’Umbria” con la sua ragguardevole quota di un milione e 666 mila visitatori all’anno non sfigurerebbe nella classifica dei musei d’arte più visitati al mondo (gli Uffizi, al ventesimo posto, hanno 1,9 milioni di visitatori). Insomma, è vero che l’Umbria è una scelta di nicchia, di piccoli numeri, ma non si parte da zero: più una regione policentrica come la nostra riesce a ragionare in termini integrati e non parcellizzati e più si ha la possibilità di consolidare una massa critica che consente di fare un salto di qualità nelle politiche di sviluppo.
Perché questo è il punto che volevo sottolineare: l’importante dotazione culturale e la vocazione attrattiva faticano a tradursi in valore, in ricchezza economica per gli umbri. È ormai ampiamente riconosciuto il prezioso ruolo che il patrimonio storico, artistico, architettonico, materiale e immateriale riesce a giocare nelle dinamiche della contemporaneità come fattore qualificante di un territorio, in grado di apportare vantaggi alla collettività sia attraverso il consolidamento dei processi identitari, sia per l’innalzamento della qualità della vita delle comunità locali che riesce a produrre in quanto fattore di crescita economica. Tuttavia, abbiamo ormai imparato che la competitività di un territorio non dipende tanto dalla dotazione di risorse, quanto soprattutto dalla capacità di mobilitarle e metterle a frutto.
Come comunità regionale ne abbiamo consapevolezza, è da molto tempo che la valorizzazione della cosiddetta filiera turismo-ambiente-cultura è stata posta al centro delle politiche di programmazione. Ma questo secondo motore dello sviluppo basato sulle risorse territoriali, che dovrebbe affiancare nella spinta alla crescita il più potente motore industriale che continua a perdere colpi, tuttora stenta a ingranare e a produrre risultati di grande rilievo.
Secondo stime recentissime, il sistema produttivo culturale e creativo (tutto il settore legato alle industrie culturali, alle imprese creative, al patrimonio storico artistico, allo spettacolo, agli eventi, alle arti visive) pesa in Umbria per il 5,1% sul totale dell’economia in termini di valore aggiunto (per un ammontare che sfiora il miliardo di euro) e per il 5,6% in termini di occupazione, contando oltre 21.000 addetti in 4.000 imprese. Si tratta certamente di volumi non trascurabili, ma probabilmente ancora lontani dal potenziale, per una regione che voglia davvero qualificare il proprio modello di sviluppo spingendo sulla leva della cultura.
Una misura dei potenziali margini di crescita per l’Umbria su questo fronte può essere rintracciata attraverso una stima della capacità del sistema produttivo culturale e creativo di attivare la spesa turistica. Il canale del turismo è infatti uno dei modi in cui la cultura riesce a generare valore – non l’unico e in certi casi neanche il principale, ma per la nostra regione è sicuramente rilevante. Ebbene, si stima che l’industria culturale abbia attivato l’anno scorso in Umbria una spesa di circa 300 milioni di euro, il 37% del totale della spesa turistica. Una quota rispettabile ma non altissima, soprattutto se paragonata alle performance di altre aree nazionali che puntano sull’arte e sulla cultura (nelle vicine Marche, ad esempio, la spesa turistica attribuibile all’attivazione culturale arriva a toccare il miliardo di euro e rappresenta il 51% del totale).

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