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Costanza Spera
Dottoranda in Scienze Politiche

L’evoluzione dell’amministrazione regionale in Italia: l’Umbria tra leadership al femminile e pluralismo politico-territoriale

28 Feb 2023
Tempo di lettura: 6 minuti

Nota introduttivaDal 1° febbraio di quest’anno tra i collaboratori dell’Agenzia Umbria Ricerche figurano due dottorande del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia. Grazie alla convenzione sottoscritta nei mesi scorsi tra le due strutture, parte importante del loro progetto di ricerca triennale verrà svolto all’interno dell’Agenzia e riguarderà aspetti chiave della dinamica politico-sociale e istituzionale dell’Umbria. Il primo progetto, illustrato di seguito, è della dottoressa Costanza Spera, che si occuperà in particolare delle tre Presidenti di Regione donne (il caso dell’Umbria è un unicum a livello nazionale) e dello studio in chiave storico-politologica della composizione socio-professionale e politico-territoriale delle Giunte regionali umbre. Buon lavoro (Alessandro Campi, Amministratore Unico AUR)

 

Perché studiare oggi i Presidenti delle Regioni?

Il punto di partenza per rispondere a tale quesito deriva da una riflessione avanzata da Luigi Bobbio (2002), che definiva “minori ma non troppo” i governi locali. Soggette all’attribuzione di crescenti responsabilità e funzioni da parte dello Stato, soprattutto a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione e della legge costituzionale n. 1 del 1999, le Regioni hanno gradualmente mutato la loro organizzazione e struttura. La rivoluzione normativa intervenuta al principio del nuovo millennio ha determinato una metamorfosi politica che ha aumentato la visibilità e l’influenza degli amministratori regionali, sia all’interno delle istituzioni, sia nei partiti e nelle aree politiche di riferimento. Oltre che sul piano elettorale, i Presidenti delle Regioni si sono “avvicinati” ai cittadini anche dal punto di vista delle funzioni esercitate, sviluppatesi in conseguenza dell’accrescimento di competenze attribuite dal percorso di riforma.

“Con la riforma del Titolo V della Costituzione e della legge costituzionale n. 1 del 1999, le Regioni hanno gradualmente mutato la loro organizzazione e struttura”

La frequente attribuzione dell’appellativo “Governatore” ai Presidenti delle Regioni, concetto che emerge gradualmente nell’immaginario collettivo degli ultimi venticinque anni e di chiara matrice federalista e presidenzialista, denota la portata socio-politica e mediatica del nuovo sistema. In parte incoraggiata dagli stessi Presidenti, in parte frutto di una narrativa pubblica marcata da un forte carattere autonomista, tale locuzione segna la volontà di porre una netta discontinuità con i modelli di governo precedenti.

Prima dell’introduzione dell’elezione diretta dei Presidenti sussisteva un legame fiduciario tra vertice dell’esecutivo, Giunta e Assemblea legislativa, rapporto che, ad oggi, ormai svincolato da relazioni di obbligata reciprocità, ha finito per ridimensionare sostanzialmente i margini di manovra concessi all’ambito legislativo. Prima delle riforme di fine anni ’90, anche il quadro politico non favoriva l’emersione dei Presidenti de Regioni: l’esecutivo regionale era, de facto, in condizione di piena subordinazione alle dirigenze di partito, manchevole di strumenti in grado di imporre le proprie decisioni. La continua instabilità delle giunte concorreva, infine, alla difficile imposizione dei Presidenti nel contesto regionale.

Ripercorrendo sinteticamente la storia delle Regioni a statuto ordinario, è bene evidenziare come la loro istituzione fosse già stata prevista nel testo costituente. Esse hanno però visto la propria genesi solo a partire dal 1970, dopo più di venti anni di dibattiti che, a fasi alterne e su registri molto differenti a seconda della componente politica da cui venivano promossi, hanno mirato alla percepita necessità di un crescente decentramento politico oltre che amministrativo. Aspetto non di secondario rilievo fu determinare quale relazione dovesse caratterizzare il rapporto tra esecutivo e legislativo. In principio si scelse per l’elezione del Presidente tra i membri del consiglio, sottolineando la relazione di centrale dipendenza tra i due poteri.

Dopo il consolidamento degli anni ’70-’90, con l’avvento della Seconda Repubblica, la fine del secolo scorso segnò uno spartiacque di portata storica nel modo di concepire le istituzioni territoriali. La dissoluzione di uno dei principi che aveva governato gli equilibri di governo del parlamentarismo italiano, ovvero quello della conventium ad escludendum, concretizzò la possibilità di costruire nuove e diverse maggioranze politiche, anche per effetto della nascita di nuovi partiti, che mutarono la platea degli attori presenti sulla scena nazionale. Non da ultimo emersero nuove istanze di rappresentanza, incarnate, su tutte, dalla Lega Nord, le cui velleità autonomiste financo indipendentiste, contribuirono in maniera determinante a influenzare i percorsi di differenziazione descritti per i nuovi assetti regionali.

Davanti alla crisi del ceto politico nazionale e locale scaturita dall’inchiesta di Mani Pulite, la legge Bassanini sul decentramento amministrativo, la riforma del Titolo V della Costituzione (2001), l’introduzione della legge sull’elezione diretta del Sindaco prima (1993) e del Presidente della Giunta regionale poi (1999), segnarono delle cesure politiche sostanziali oltre che simboliche: terminò il legame fiduciario tra Assemblee Legislative e Giunte Esecutive (che evolse nell’istituto della sfiducia costruttiva e nel principio del simul simul), alle Regioni vennero attribuite maggiori competenze esclusive e concorrenti, i partiti assistettero alla crescente autonomia politica conseguita, nella norma e nella prassi, da Presidenti e Assessori regionali (precedentemente vincolati a desiderata e indirizzi politici dei partiti di riferimento); si rafforzò anche la stabilità delle giunte, favorita dal passaggio a sistemi elettorali maggioritari. Il più grande contributo apportato da quella stagione di riforme fu, però, il convinto ridimensionamento dell’assemblearismo che aveva governato le istituzioni regionali fino a quel momento, inaugurando una nuova forma di governo poi denominata neoparlamentare.

Gli studi compiuti fino ad oggi su ruolo e identità dei Presidenti di Regione si sono concentrati su caratteri per lo più giuridici, limitandosi a valutazioni contingenti e di carattere funzionale. Per comprendere a pieno l’avvicendamento di sistema verificatosi negli ultimi 25 anni, abbiamo dunque deciso di analizzare il tema dell’affermazione dei Presidenti della Regione in modo sistemico, non come fenomeno a sé stante ma in relazione a altre variabili: storico-normative (modifiche costituzionali e legislative, mutamenti del contesto storico-sociale, dibattito politico sviluppatosi attorno alle principali novità), geografiche (differenti contesti geografici, macro-regionali e di sviluppo), di ruolo e potere esercitato (risorse, poteri attribuiti, rapporti con governo ed enti locali) e di interpretazione soggettiva della propria funzione politico-amministrativa (approccio ideologico/pragmatico, partecipativo/direzionale, innovazioni apportate alle policies, obiettivi e difficoltà esogene e endogene).

“L’Umbria è l’unica Regione in Italia ad aver eletto più di una donna al vertice del proprio esecutivo di governo, le donne a capo di Palazzo Donini sono state fino ad oggi ben tre”

Sarà in funzione dell’analisi di tali caratteristiche che verrà sviluppato il progetto di ricerca di Dottorato frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia e l’Agenzia Umbria Ricerche. Progetto rivolto alla problematizzazione del ruolo di figure ormai centrali per la politica finanche nazionale. Allo studio della letteratura fondamentale prodotta in materia, verrà accostata la ricerca su base quantitativa e qualitativa del fenomeno, realizzata mediante la raccolta e l’analisi dati e lo svolgimento di interviste in profondità ad una rosa selezionata di Presidenti della Regione, attuali e non più in carica.

Grazie proprio alla collaborazione con l’Agenzia Umbria Ricerche, nei prossimi mesi saranno sviluppate alcune ricerche ad hoc che, con particolare riferimento al quadro umbro, indagheranno anomalie e caratteristiche particolari di tale contesto. Unica Regione in Italia ad aver eletto più di una donna al vertice del proprio esecutivo di governo, le donne a capo di Palazzo Donini sono state fino ad oggi ben tre (Maria Rita Lorenzetti, Catiuscia Marini e Donatella Tesei), rappresentando un unicum a livello nazionale, meritevole di studi e approfondimenti mirati all’analisi di tale specificità. Inoltre, appare di grande interesse anche la possibilità di condurre uno studio incentrato su composizione e provenienza dei membri delle Giunte susseguitesi in Umbria, caratterizzate dalla presenza di profili assai differenti, sia dal punto di vista politico che di background personale e professionale.

È possibile riassumere il percorso di ricerca, qui restituito per sommi capi, come la trattazione del processo che ha portato all’individuazione degli strumenti in grado di conferire maggiore autorevolezza alla politica regionale, eliminando la persistente instabilità amministrativa che aveva caratterizzato la recente storia delle Regioni. Tale processo verrà letto attraverso lo studio degli interpreti politici delle differenti fasi storico-normative attraversate.

 

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