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Andrea Cardoni
Università degli Studi di Perugia

L’insostenibile leggerezza dell’Essegi (ESG). Segnali dal “pianeta PMI” della manifattura umbra

30 Mag 2022
Tempo di lettura: 5 minuti

Nella lodevole iniziativa dei Ted Talks organizzata a Perugia lo scorso settembre, il collega, amico e concittadino Prof. Paolo Taticchi, esperto di Strategia e Sostenibilità e docente di fama internazionale al prestigioso University College di Londra, ha menzionato la mancanza del “senso di urgenza” come uno dei fattori che ostacolano l’approccio strategico alla sostenibilità.

È indubbio che altre urgenze stanno mettendo a dura prova la sostenibilità, prima di tutto economica, delle nostre aziende: COVID, tensioni belliche, prezzi incontrollati dell’energia e delle materie prime. Ma il tema della sostenibilità ad ampio spettro continua a rimanere strategico, assumendo una connotazione sempre più chiara in termini di contenuto, contesto e regolamentazione.  Nei contenuti il tema si è declinato nei fattori ESG, acronimo che include le prospettive dell’ambiente (Environment), della società (Society) e del governo aziendale (Governance). Il contesto, finora, è stato quello delle grandi imprese quotate, dei mercati finanziari, delle agenzie di rating ESG e dei miliardi di finanza sostenibile che si spostano verso gli investimenti con maggiore impatto sociale e ambientale. La regolamentazione ha sviluppato una cornice che vede i Sustainable Development Goals (SDGs) fissati dalle Nazioni Unite come il riferimento più alto a cui ispirarsi e una specifica normativa dedicata alla rendicontazione, introdotta in Italia con il D.lgs. 254/2016, che ha imposto alle grandi imprese quotate una Dichiarazione Non Finanziaria (DNF) sulla sostenibilità.

E fin qui sembrerebbe che la cornice strategico-regolamentare riguardi solo le grandi imprese.  Ma il condizionale è d’obbligo e vi sono almeno tre solide ragioni che rendono urgente un nuovo approccio strategico, anche nelle PMI.

Sul piano gestionale, tali aziende sono spesso coinvolte nelle filiere internazionali e già sottoposte ad una costante valutazione sulla sostenibilità. Tante eccellenze del nostro manifatturiero subiscono severi audit da parte dei loro grandi clienti, conformandosi diligentemente alle sempre più stringenti normative ispirate agli obiettivi di sviluppo sostenibile. Sul piano finanziario, l’Autorità Bancaria Europea (EBA) ha emanato nel maggio 2020 le nuove linee guida sulla erogazione e il monitoraggio del credito, rese attuative dalla Banca d’Italia nel luglio 2021. Tali provvedimenti contemplano, tra le varie novità, l’integrazione dei fattori ESG nelle politiche del credito da parte di tutte le banche, con evidenti ricadute sulle condizioni di accesso alla finanza bancaria delle PMI nel prossimo futuro. Sul piano della rendicontazione, sempre nel 2021 è stata approvata dalla Commissione Europea la proposta di modifica della Direttiva sulla informativa non finanziaria che estende l’obbligo informativo alle PMI quotate. Saranno inoltre emanati appositi standard per le aziende minori, da utilizzare su base volontaria da tutte le imprese, la cui adozione potrebbe assicurare un rilevante vantaggio competitivo.

Da tali urgenze è derivato l’interesse ad avviare una ricerca sui fattori ESG nel sistema produttivo umbro. La ricerca è stata sviluppata anche attraverso una tesi di laurea svolta con grande cura e profitto dalla Dott.ssa Simona Biasco, di cui sono riportati qui di seguito i risultati principali.  Lo studio ha considerato oltre cento imprese manifatturiere umbre con fatturato compreso tra i 10 e 50 milioni di euro, basandosi su interviste ai responsabili amministrativi, che per ruolo hanno una maggiore visione di insieme sui processi gestionali, sui modelli di rendicontazione e sulle più rilevanti novità regolamentari. Le sezioni di analisi sono state tre: A) Grado di conoscenza degli elementi di contesto, relativamente al significato dell’acronimo ESG, all’ estensione in capo alle imprese degli standard di informativa non finanziaria, alle evoluzioni regolamentari in campo bancario e ai principali modelli di reportistica di sostenibilità;  B) Giudizio sulla rilevanza strategica della sostenibilità in generale per il mondo delle PMI, in particolare per la propria specifica azienda e sull’utilità della reportistica per comunicare all’esterno le performance ESG; C) Rilevazione di eventuali iniziative/risorse specificamente dedicate in relative a certificazioni di sostenibilità su processi/prodotti, risorse interne (personale) o esterne (consulenti) specificamente dedicate al tema e redazione di report di sostenibilità. Per ogni aspetto è stato assegnato un punteggio pari a uno nel caso di risposta affermativa convinta e consapevole, la metà in caso di indecisione ed incertezze, e zero in caso di risconti negativi o iniziative non presenti.

Riepilogando i risultati per settore di operatività, si è ottenuta la tabella seguente (Tab. 1).

Tab. 1 – Grado di conoscenza, rilevanza e sviluppo fattori ESG diviso per settore

Il livello medio registrato è pari a 4,5, su un totale di 10, denotando una limitata conoscenza e un contenuto grado di implementazione dei fattori ESG. Scomponendo per singola sezione si nota come il giudizio sulla rilevanza (2,0 medio su 3) sia più alto rispetto alla conoscenza del contesto (1,5 medio su 4) e alle risorse/iniziative dedicate (1 medio su 3). In altre parole, il tema della sostenibilità viene ritenuto strategico senza disporre di particolare conoscenza del contesto e, come probabile conseguenza, senza farne derivare specifiche azioni gestionali.

I quattro settori più rappresentativi registrano punteggi piuttosto bassi, con la sola eccezione del comparto dei macchinari e apparecchiature, appena poco sopra la media. I risultati migliori vengono registrati dai settori della plastica, cartario e tessile, sicuramente più esposti alle pressioni competitive e regolamentari sul tema ESG. È soprattutto il settore tessile che registra il punteggio più alto, manifestando un livello ampiamente sopra la media in termini di consapevolezza, rilevanza e di iniziative/risorse dedicate.

Disaggregando le rilevazioni per dimensione aziendale, si ottiene la tabella seguente (Tab. 2).

Tab. 2 – Grado di conoscenza, rilevanza e sviluppo fattori ESG diviso per dimensione

I risultati sono strettamente correlati alle dimensioni aziendali, più alti per le aziende oltre i 30 milioni e più basso per quelle nei segmenti minori, che comunque rappresentano il 75% del campione in termini di numerosità e il 56% sul valore della produzione, provocando un abbassamento della pregnanza strategica dei fattori ESG nel sistema produttivo umbro.

L’impressione generale emersa dalla ricerca è che nel “pianeta PMI” del manifatturiero umbro i fattori ESG sono ancora poco conosciuti e apprezzati. Quando lo sono, vengono limitatamente implementati e comunicati.

Le possibili ragioni di tali evidenze appaiono, a parere di chi scrive, le seguenti:

1)      L’approccio alla sostenibilità è molto reattivo, in risposta a specifiche esigenze o richieste provenienti da stakeholder rilevanti. L’approccio a “sylos” su singoli processi non permea il livello della strategia e non è condiviso in seno ad organi collegiali di governance che, come dimostrato da molte ricerche, hanno impatto positivo sulla sostenibilità;

2)      I processi di rendicontazione verso l’esterno seguono un approccio adempimentale, limitato agli aspetti amministrativi. La comunicazione agli stakeholder e la rendicontazione non finanziaria richiedono una approfondita riflessione sul modello di business e sulle specifiche sfide che l’integrazione dei fattori ESG solleva nel particolare contesto aziendale. Le ricerche dimostrano che tante PMI realizzano significativi risultati sul fronte sociale e ambientale, che però non sono inseriti in un quadro organico e adeguatamente comunicati all’esterno, rinunciando ai relativi benefici in termini di posizionamento;

3)      Le competenze costituiscono un imprescindibile presupposto per questa evoluzione, mentre spesso rimangono ancorate a modelli gestionali eccellenti solo sul piano produttivo o commerciale. Vanno sviluppate nuove specializzazioni, integrate le professionalità, introdotti nuovi profili, interni ed esterni, in grado di rafforzare la cultura manageriale necessaria per trattare con la dovuta consapevolezza i fattori ESG. E questa sfida vede coinvolte non solo le aziende ma l’ecosistema di attori della regione: aziende, istituzioni, professionisti, banche, università, associazioni di categoria.

Sarebbe auspicabile che ogni azienda avvii una riflessione strutturata sull’impatto strategico della sostenibilità nel proprio modello di business, definendo una “road map” di iniziative da implementare nel medio-lungo termine, magari partendo da una rendicontazione volontaria di sostenibilità per innescare un graduale processo di consapevolezza. Ancora meglio se ad accompagnare questo cambiamento vi fosse il sostegno delle istituzioni, anche attraverso agevolazioni sulla formazione o sulla redazione dei report di sostenibilità.

Ritornano in mente le esortazioni finali del Prof. Taticchi, che ha terminato il suo intervento con un incoraggiante “non è mai troppo tardi per iniziare”. I dati della ricerca dimostrano che c’è tanta strada da fare, e coinvolge un intero ecosistema. Ognuno può, e deve, fare la sua parte. Forse è importante iniziare per davvero.

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