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Tondini
Elisabetta Tondini
Agenzia Umbria Ricerche
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L’Umbria non ha il mare

21 Nov 2018
Tempo di lettura: 4 minuti

Negli anni più cupi della crisi, l’esportazione è stata per il Paese e per molte realtà regionali in particolare, l’unico sostegno per tamponare il crollo della domanda. La strategicità della componente esterna della domanda finale è stata ancora una volta suffragata dai fatti.

Tuttavia la vendita all’estero dei prodotti manifatturieri, seppure resti un ingrediente fondamentale per un sistema economico, visti gli effetti propulsivi che riesce ad alimentare, non esaurisce la natura della domanda generata “dal di fuori”: c’è un altro pezzo importante, che ha a che fare con il turismo e con la sua potenziale enorme capacità di sollecitazione su una vasta gamma di servizi di varia natura e ormai non più soltanto tradizionali e, indirettamente, sull’industria della trasformazione.
Le risorse del territorio e della cultura e le attività turistiche e il terziario ad esse connesso costituiscono un importante fattore strategico nel sostegno o nel rilancio di economie profondamente segnate dalle conseguenze di una crisi pluriennale. In un contesto fortemente mutato, mentre una base produttiva industriale segnatamente ridimensionata aspetta di essere opportunamente ripotenziata, l’area dell’Italia di mezzo prova o continua a sfidare la nuova concorrenza utilizzando al meglio ciò di cui dispone. Tra le tre regioni spicca una Toscana con una risorsa turistica sapientemente valorizzata e che ha costituito un forte traino per alimentare la domanda regionale con il suo elevato potere attivante sull’intero sistema. La patria dei distretti becattiniani, pur non rinnegando certo la sua tradizione manifatturiera, ha da tempo trasformato il turismo in un prezioso meccanismo propulsore per la sua economia e il più elevato tasso di terziarizzazione riferito ai servizi di mercato che la caratterizza la fa convergere verso le regioni economicamente più forti del Paese.
Sul fronte turismo, le Marche soffrono ancora del limite di un’alta stagionalità e di una bassa produttività del lavoro, manifestando in entrambi i versanti situazioni peggiori di quella riscontrabile in Umbria e sicuramente ben lontani dalle elevate performance della Toscana la quale intanto conferma la sua superiore capacità attrattiva rispetto alla media del Paese: non è casuale la sua collocazione al primo posto, unica con giudizio ottimo, nella graduatoria dell’indice di brand costruito per le regioni italiane.
Infine l’Umbria, quanto a capacità di intercettare flussi dall’esterno, risulta ancora deficitaria sia sul fronte export che sul fronte turismo, figurando più indietro rispetto a Toscana e Marche: è più indietro per una propensione ad esportare strutturalmente molto inferiore a quella delle altre due regioni ma lo è anche considerando la risorsa turistica, rispetto alla quale non è ancora pienamente strutturata o non lo è in maniera tale da colmare almeno in parte i molti vuoti lasciati dall’industria. Certo, non bisogna dimenticare che, rispetto alle altre due, l’Umbria non ha il mare, una risorsa che molto rileva per l’attrattività di un territorio e che un lago – anche quando garantisca una valida alternativa di richiamo turistico – non può sostituire. In mancanza di ciò, va sottolineato l’impegno profuso negli anni più recenti nel fare leva su cultura e ambiente come fattori propulsori e le operazioni anche di marketing attuate in tal senso sembra stiano lavorando nella giusta direzione. Esistono tuttavia ancora ampi margini di manovra per strutturare una sempre più fitta rete tra settori e soggettività coinvolte più o meno direttamente nella gestione della risorsa culturale e per fare del turismo un efficace sostegno all’economia (anche) del territorio umbro.
In effetti, un filo rosso corre lungo la fascia di terra racchiusa tra due mari, da est a ovest: la grande risorsa culturale e ambientale che ricopre l’Italia di mezzo. Considerare i luoghi umbro-marchigiani non più una propaggine della Toscana ma un’area ad essa assimilabile fino a configurarsi unitaria, identificabile anche in termini di capacità gestionale delle risorse e di accoglienza turistica, sarebbe auspicabile visto che tale operazione può costituire un valido sostegno all’economia di quei luoghi.
Non vi è dubbio che un grande salto in avanti in termini di visione territoriale unitaria sia stato compiuto con il recente potenziamento delle direttrici che collegano l’area umbra alla costa marchigiana. L’imponente opera infrastrutturale che ha reso di fatto molto più vicine le due regioni limitrofe significherà certamente una maggiore apertura dell’Umbria verso est, probabilmente una riduzione delle sue aree marginali orientali e forse nuove gravitazioni territoriali; ciò che si auspica è comunque lo sviluppo di una rete di rapporti di interdipendenza bidirezionali e di complementarità funzionale tra i due territori. Più in generale, il potenziamento delle relazioni trasversali da una costa all’altra dell’Italia di mezzo potrebbe garantire una serie di vantaggi per le regioni coinvolte, a patto che non comporti, per quella “più di mezzo” delle altre, un’involuzione a territorio (solo o prevalentemente) di passaggio. Considerazioni e dubbi, questi, che trovano naturalmente una loro ragion d’essere quando si ha a che fare con questioni afferenti alla sfera della economia materiale, per la quale l’aspetto legato ai luoghi, alle collocazioni territoriali, alle distanze fisiche, all’accessibilità costituiscono elementi cruciali.
In un mondo sempre più digitalizzato, dove un’economia sempre più immateriale sta stravolgendo i modi e le forme del produrre cambiandone profondamente problematiche e fattori rilevanti, sottolineare la strategicità che può assumere la realizzazione di una strada ad alcuni potrebbe apparire anacronistico. Ma così non è. Non lo è per quella importante porzione di produzione che ancora con la dotazione viaria deve fare i conti; non lo è per la fruibilità di un territorio di cui si vogliano apprezzare le bellezze, per cui l’accessibilità diventa fattore imprescindibile; non lo è in modo specifico per l’Umbria, visto che la storia della sua dotazione infrastrutturale sembra ripercorrere lo stesso cammino del suo processo di industrializzazione, avviatosi cioè in ritardo rispetto alle realtà italiane similari, di piccola e media impresa.
Nell’ottica dell’affermazione di una visione strategica dello sviluppo e del governo di processi concepito su area vasta, che travalica i confini regionali, il rischio di marginalizzazioni (per tornare al punto di partenza) dovrebbe essere fugato: ciascun territorio, portatore di proprie peculiarità, sarà comunque centrale in nome del principio di complementarità, della esaltazione delle differenze e della maggiore efficacia di azioni derivanti dalla gestione di problematiche comuni. Del resto, la interrelazione territoriale in ambiti diversi, proprio perché necessità imposta dalla nuova declinazione dello sviluppo, è fortemente incoraggiata dall’Unione Europea, in funzione dell’innalzamento della competitività sistemica e dei vantaggi derivanti dalle economie di scala: ormai è chiaro che certe grandi questioni non possono più essere risolte entro la sfera d’azione del singolo territorio regionale, soprattutto se di piccole dimensioni.

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