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Giuseppe Coco
Agenzia Umbria Ricerche

Regionalismo ed equità

30 Mag 2019
Tempo di lettura: 2 minuti

Chi scrive ultimamente si è occupato in qualche modo del tema delle Regioni e dei loro cambiamenti. A volte più meditati e a volte più estemporanei, figli della crisi, delle emergenze, delle mode, delle convenienze politiche. Se il terzo millennio era partito con un investimento – non solo di risorse ma anche emotivo – su questi Enti, gli anni successivi hanno rimescolato le carte rendendo incerto il paradigma da seguire.

Nel 2008, politici, studiosi, opinionisti hanno posto l’accento sulla necessità di un’Italia orientata verso un nuovo centralismo per provare a tenere sotto controllo meglio i costi della macchina statale. Ed ecco che l’idea di uno Stato a trazione regionale, nata nel 2001 con la riforma del titolo V della Costituzione, inizia a vacillare. Gli Enti che dovevano costituire la spina dorsale dell’Europa finiscono in un chiaro-scuro, complici essi stessi del loro appannamento, in quanto non si sono dimostrati sempre all’altezza di governare i territori e di gestirne i bilanci.

Fin qui la storia è abbastanza chiara. Ma è storia. Ci sarebbe bisogno di ritornare compiutamente a discutere di regionalismo. Alcune aree del Nord, come si evince dalla dialettica politica degli ultimi mesi, ci stanno provando, ponendo l’accento sull’ampliamento delle autonomie. Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, in particolare, hanno già messo in piedi accordi preliminari con il Governo. Sembra che vi siano intese di massima riguardanti la sicurezza del lavoro, il commercio estero e il governo del territorio, mentre è tutto più nebuloso sul versante salute e istruzione. Va sottolineato che il Ministero del Tesoro non è indifferente alla materia e non manca di mandare messaggi ove si sottolinea che l’autonomia non può avvenire a spese delle altre Regioni o imponendo una maggiore tassazione.

Nella sostanza, la questione è ancora avvolta dalla nebbia. Tutto assomiglia ad una sorta di partita a scacchi che non prende un vero verso. Una partita dove sono un po’ tutti convinti che è importante giocarla sul serio, ma al tempo stesso hanno paura di fare mosse che si ritorcano loro contro.

Si è consapevoli che in ballo c’è una questione di efficienza. Di come le risorse potrebbero essere utilizzate meglio e al meglio. Se osserviamo il grafico che riporta la graduatoria della spesa regionalizzata del bilancio dello Stato, la prima cosa che salta agli occhi è che vi sono Regioni che, simili come dimensione, differiscono non di poco per spesa per abitante.

Grafico – Spesa finale regionalizzata del bilancio dello Stato al netto degli interessi sui titoli di Stato – Anno 2017

Fonte: La spesa statale regionalizzata, stima 2017 – MEF, gennaio 2019.

In pratica ci troviamo di fronte a forbici di spesa anche molto ampie. E questo difficilmente giova a qualcuno, di sicuro non alla salute del sistema Paese. Al di là delle singole convenienze di bottega, sarebbe molto importante aprire una vera stagione di confronto sul ruolo di questi Enti, sulle loro funzioni, sulle loro prerogative, sui loro bilanci, sulle loro spese, sulle loro capacità di programmazione sociale, economica e territoriale. Così com’è il sistema non è in equilibrio, non è efficiente e non è astruso pensare che non sia neanche equo.

Per Proust “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.

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