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Tondini
Elisabetta Tondini
Agenzia Umbria Ricerche
Focus AUR
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Mauro Casavecchia
Agenzia Umbria Ricerche

Retribuzioni orarie: la situazione in Umbria

27 Giu 2022
Tempo di lettura: 7 minuti

Alcuni giorni fa si è parlato molto di un grafico che mostrava come negli ultimi 30 anni l’Italia fosse l’unico tra i paesi Ue Ocse in cui la retribuzione media annua è calata (-2,9%), a fronte di un aumento generalizzato altrove (Germania +33,7; Francia +31,1%; Spagna +6,2%).

Il dato ha riaperto il ricorrente dibattito sul progressivo impoverimento delle persone che lavorano e sulla necessità di trovare contromisure.

Variazione percentuale dei salari annuali medi tra il 1990 e il 2020 nei paesi Ue Ocse
Fonte: Openpolis

Il costo del lavoro

L’inadeguatezza retributiva in Italia chiama in causa l’annosa questione del costo del lavoro che, come noto, è pesantemente gravato dalle componenti non salariali, sia quelle a carico del lavoratore che del datore di lavoro.

Il costo del lavoro, costituito dall’ammontare delle retribuzioni e dai costi non salariali, quali i contributi sociali e i costi intermedi a carico del datore di lavoro al netto dei sussidi, vede l’Italia allineata alla media Eu27 ma con valori strutturalmente inferiori a quelli registrati nell’area euro e in Francia e Germania in particolare. Tuttavia l’elevata incidenza dei costi non salariali sul totale, per cui l’Italia si pone tra i primi posti con un 28,3%, rende evidente lo svantaggio della remunerazione effettiva del lavoro nel nostro Paese.

Dinamica del costo medio orario del lavoro in alcuni paesi dell’area Euro (N. indice EU27 2008 = 100)
Fonte: elaborazioni AUR su dati Eurostat

Costo medio orario del lavoro per componenti al 2021 in alcuni paesi UE (euro correnti) e incidenza % dei costi diversi da salari sul costo del lavoro
Fonte: elaborazioni AUR su dati Eurostat

Le retribuzioni in Umbria

Le retribuzioni lorde, ovvero le remunerazioni al lordo delle detrazioni fiscali e previdenziali a carico dei lavoratori e trattenuti dal datore di lavoro, costituiscono la parte preponderante del costo del lavoro e offrono la misura dei livelli imponibili ai fini contributivi da parte del datore stesso.

Considerando i lavoratori dipendenti privati extra-agricoli, in Italia nel 2019 la retribuzione oraria mediana – quella che divide a metà le posizioni lavorative di riferimento – è pari a 11,40 euro; il 10% dei lavoratori più pagati percepisce almeno 21,06 euro l’ora, mentre il 10% di quelli pagati di meno non supera gli 8,10 euro. In sintesi, le situazioni migliori spuntano livelli almeno 2,6 volte superiori a quelle più basse.

I livelli retributivi, estremamente variabili, presentano valori minimi tra le donne e i più giovani, oltre che in corrispondenza dei più bassi gradi di istruzione, nelle imprese di piccole dimensioni, nel settore dei servizi, nei contratti a tempo determinato e in quelli part-time, nonché nelle realtà meridionali.

In questa estrema variabilità, come si colloca l’Umbria?

In generale, nella regione le retribuzioni mediane risultano costantemente inferiori rispetto al corrispondente valore nazionale. Complessivamente, il delta Umbria-Italia è del 2,7%, che sale al 7,8% considerando i valori medi, in virtù della distribuzione, nella regione, più omogenea e livellata verso il basso.

Le differenze rispetto all’Italia diventano significative in corrispondenza del 10% delle posizioni lavorative meglio remunerate (9° decile), per le quali la retribuzione lorda oraria si attesta ad almeno 17,67 euro, ovvero il 16,1% in meno rispetto al dato nazionale. Viceversa, nel 1° decile, quello che accoglie i valori più bassi, l’Umbria frequentemente si trova a superare il dato nazionale, anche se per differenze minimali.

Retribuzioni lorde orarie delle posizioni lavorative in Umbria e Italia al 2019 (euro correnti) e differenziale Umbria-Italia (%)
Fonte: elaborazioni AUR su dati Istat
Nota: si fa riferimento alle retribuzioni lorde orarie delle posizioni lavorative dipendenti nel settore privato extra-agricolo

Tenendo conto del valore mediano delle retribuzioni per genere, titolo di studio, tipo di contratto, regime orario, qualifica contrattuale, classe di età, dimensione d’impresa, si evince che le distanze tra i livelli umbri e quelli nazionali toccano le punte massime in corrispondenza, nell’ordine: dei lavoratori laureati (-12,4%), di quelli occupati nelle imprese con oltre 250 addetti (-6,1%), delle figure dirigenziali e impiegatizie (-5,9%), dei dipendenti con contratto a tempo pieno (-5,5%) e indeterminato (-5,3%), di quelli con 50 anni e più (-4,8%), delle lavoratrici (-3,0%).

Retribuzioni lorde orarie delle posizioni lavorative al 2019 che presentano i maggiori scarti tra Umbria e Italia nei valori mediani (valori in euro)
Fonte: elaborazioni AUR su dati Istat

Se invece del valore mediano si considera quello dell’ultimo decile, la distanza (negativa) tra le retribuzioni lorde orarie in Umbria rispetto all’Italia si fa massima in corrispondenza, nell’ordine: dei laureati (24,1%), delle posizioni a tempo pieno (19,9%) e indeterminato (18,4%), delle persone con 50 anni e più (18,2%), dei maschi (18,1%), delle imprese tra 10 e 49 addetti (15,1%), dei dirigenti e impiegati (14,1%).

Retribuzioni lorde orarie delle posizioni lavorative al 2019 che presentano i maggiori scarti tra Umbria e Italia in corrispondenza del 9° decile (valori in euro)
Fonte: elaborazioni AUR su dati Istat

La variabilità retributiva interna (misurata come rapporto tra 9° e 1° decile) in Umbria è costantemente più contenuta di quella rilevata su scala nazionale, in virtù dei livelli regionali più omogenei e appiattiti verso il basso. In generale, tale variabilità è più contenuta nei gruppi a più bassa retribuzione oraria (è minima tra gli occupati in imprese con meno di 10 dipendenti, con un rapporto pari a 1,79 in Umbria, che sale a 1,94 in Italia) e cresce all’aumentare del livello retributivo, raggiungendo il valore massimo tra i laureati (2,76 per l’Umbria, 3,48 per l’Italia).

Variabilità retributiva massima e minima in Umbria (retribuzioni lorde orarie delle posizioni lavorative relative al 1° e al 9° decile e loro rapporto)
Fonte: elaborazioni AUR su dati Istat

Il fenomeno umbro delle più basse retribuzioni nella componente privata non sorprende: si collega alle caratteristiche degli assetti produttivi locali – in prevalenza polverizzati, posizionati nella parte centrale della filiera, specializzati in settori a minore intensità di ricerca e innovazione e a più basso valore aggiunto, tarati su modelli di gestione tradizionali e a bassa domanda di lavoro altamente qualificato – che, nel loro insieme, determinano livelli di produttività inferiori rispetto ai già insoddisfacenti valori nazionali. Tali elementi penalizzano la dinamica retributiva, che in Umbria tende a mantenere nel tempo una distanza rispetto al dato italiano. Distanza che viene peraltro accentuata da una più diffusa presenza delle componenti non osservate delle attività produttive di mercato, ovvero l’economia sommersa e quella illegale, come stimato da Istat.

Salario minimo e possibili implicazioni

Introdurre forme di tutela della dignità del lavoro e di contrasto alla povertà lavorativa è certamente un obbiettivo da perseguire in maniera urgente.

Uno dei possibili interventi è l’introduzione di un salario minimo legale, una misura su cui ultimamente si è aperto un ampio dibattito, soprattutto dopo l’approvazione della direttiva del parlamento europeo (che comunque non comporta un obbligo per l’Italia, vista l’ampia copertura della contrattazione collettiva). Resta da capire se un provvedimento di questo genere sia lo strumento più efficace per il caso italiano e quali implicazioni potrebbe avere su una regione come l’Umbria.

Di sicuro, l’effetto più diretto sarebbe quello di elevare i minimi retributivi, particolarmente bassi, previsti dai CCNL in alcuni settori:

Retribuzioni orarie minime nei CCNL di alcuni settori in Italia

Fonte: Senato della Repubblica, XVIII Legislatura, Fascicolo Iter DDL S. 2187. Disposizioni in materia di salario minimo e rappresentanza delle parti sociali nella contrattazione collettiva

Se il salario minimo venisse fissato – ad esempio – a 9 euro l’ora, l’incidenza dei lavoratori interessati da questo provvedimento non arriverebbe al 2% del totale (ADAPT, 2022). Tale quota potrebbe salire al 10% se si includessero anche il lavoro domestico e quello agricolo, settori dove tuttavia potrebbe essere più facile sfuggire a questo obbligo per la maggiore diffusione del lavoro irregolare.

Rimarrebbe comunque esclusa un’ampia fetta di occupati, sempre più ampia e pure a rischio di povertà, non coperta dalla contrattazione collettiva (tirocinanti, collaboratori autonomi, lavoratori occasionali, lavoratori in nero e free lance a partita IVA).

Più in generale, la discussione fin qui sviluppatasi sul salario minimo sembra non tener conto delle rapide trasformazioni, tecnologiche e organizzative, del contesto produttivo e del mercato del lavoro, che rendono la prestazione sempre meno incardinata al valore standardizzato dell’ora-lavoro e il sistema di retribuzioni sempre più rivolto a premiare il risultato e la professionalità del lavoratore. Questo insieme di condizioni, che stanno mutando il quadro di riferimento, rischierebbero di rendere difficilmente adattabile la definizione e l’applicazione di un salario minimo indifferenziato.

Al di là di queste prime osservazioni, le implicazioni della introduzione di un salario minimo sono molteplici, complesse, non univoche, controverse.

Numerose simulazioni hanno dimostrato che gli effetti complessivi sul benessere degli individui, sull’occupazione e sulle diseguaglianze verrebbero a dipendere dal livello al quale il salario minimo viene fissato: se troppo basso rischierebbe di essere inefficace; se troppo alto sarebbe controproducente, spiazzando l’occupazione e aumentando le diseguaglianze.

L’argomento più diffuso tra i critici del salario minimo è che il conseguente aumento del costo del lavoro si tradurrebbe in una contrazione dell’occupazione e in un aumento del ricorso al lavoro irregolare, un rischio che graverebbe soprattutto sulle micro imprese, le quali rappresentano gran parte del tessuto produttivo.

Il problema chiama in causa la questione della produttività del lavoro, alla quale il salario minimo deve essere correlato: livelli minimi salariali introdotti senza un adeguato aumento della produttività potrebbero causare la scomparsa delle imprese più piccole e meno inefficienti, che non riuscirebbero a corrispondere ai propri lavoratori le retribuzioni stabilite. Di fronte a livelli insostenibili, pur di evitare la chiusura, talune realtà potrebbero tagliare gli occupati, ricorrere al lavoro nero oppure provare a riversare i maggiori costi del lavoro sui consumatori, aumentando i prezzi dei beni prodotti e innescando così un processo inflazionistico.

La matassa di questioni che si porta dietro la riflessione sul salario minimo si fa particolarmente aggrovigliata in un territorio, come quello umbro, dove le piccolissime realtà aziendali, la bassa produttività, il lavoro irregolare sono fortemente presenti, più della media nazionale.

Un fatto è certo, la questione salariale esiste e resta una priorità da affrontare, fermo restando che il problema andrebbe aggredito alla radice: i bassi salari sono una conseguenza diretta di un alto costo del lavoro (per l’elevata incidenza della componente non salariale) e di una bassa produttività, la quale resta il vero nodo da sciogliere.

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