Focus
Elisabetta Tondini
Squilibri generazionali non più sostenibili
La difficile ripresa dopo anni di recessione convive con un progressivo calo della presenza di giovani nella società e nell’economia, gravato da una popolazione progressivamente più vecchia. Le giovani generazioni vedono diminuire a vista d’occhio la partecipazione al mondo del lavoro e della produzione oltre che alla ripartizione della ricchezza, con evidenti conseguenze sulla sostenibilità socio-economica, aggredita da nuove disuguaglianze, e sulla competitività, depauperata della linfa innovativa che solo menti fresche può generare.
È un fatto che i giovani stiano diventando una risorsa sempre più scarsa, eppure il sistema non sembra preoccuparsene.
I dati demografici, segnati da una persistente denatalità e dall’allungamento della vita media, ci consegnano una progressiva erosione delle coorti più giovani: dall’ultimo censimento a oggi sono calati, in assoluto e in percentuale, gli under 25, i 25-34enni e addirittura i 35-44enni, mentre è aumentata la popolazione dai 45 anni in su, in Italia e ancor più in Umbria. Uno sguardo al ricambio generazionale mostra dati allarmanti: nella regione, gli under 25 sono il 21% e gli over 64 superano un quarto dell’intera popolazione; i ventenni sono il 27% in meno rispetto ai quarantenni e addirittura il 43% meno dei cinquantenni. I quali, a loro volta, superano di oltre un terzo i trentenni.
In prospettiva, sempre meno giovani dovranno sostenere un esercito di anziani progressivamente più corposo, ovvero dovranno farsi carico di costi di welfare – per previdenza e per spesa sanitaria – via via più elevati.
Questa nuova geografia demografica va di pari passo e per certi aspetti si intreccia con e viene alimentata dal grande problema generazionale degli ultimi anni, quello che depotenzia più di ogni altra cosa una possibilità di ripresa solida e duratura, ovvero la presenza e l’aumento di un gap occupazionale tra le nuove generazioni e quelle più mature.
Dal 2008 al 2017, la componente occupata più giovane, quella al di sotto dei 35 anni, è stata erosa del 27% in Italia (1 milione e 900 mila unità in meno) e del 33% in Umbria, per una perdita di 37 mila unità lavorative. Devastante è stato – in particolare – lo scalzamento della coorte dei 25-34enni: se nel 2008 dei 100 di loro che si offrivano sul mercato del lavoro regionale risultavano occupati 81, dieci anni dopo si riducono a 66.
Un po’ più attenuato, ma sempre per numeri a due cifre, è stato il calo della coorte successiva, quella dei 35-44 anni, diminuita nello stesso periodo del 12% (due punti in meno del dato nazionale).
In controtendenza alla diffusa contrazione degli occupati under 45 (-22,4% in Umbria), spicca l’avanzata degli over 45, ovunque in forte crescita (27,4% nella regione). Immaginando dunque gli occupati divisi dallo spartiacque dei 45 anni, il netto vantaggio dei più giovani (pari al 64% nel lontano 2004) viene completamente eroso negli anni al punto che, nel 2017, i due gruppi finiscono per equipararsi.
Il fenomeno comporta un avvicinamento del tasso di occupazione dei più anziani alla media europea e, di contro, un notevole allontanamento di quello dei più giovani: sempre in riferimento al 2017, il tasso di occupazione dei 15-24enni, che come media dei paesi dell’Unione è pari al 34,7%, in Umbria si abbassa al 19,2%. Invece, considerando i 55-64enni, si hanno valori molto simili (57,1% e 55,7%, rispettivamente).
Abbastanza ovvie sono le ricadute sul piano sociale. I sempre meno numerosi giovani cominciano ad essere anche più poveri. Vecchie configurazioni si invertono e, nella bilancia delle opportunità, delle possibilità, delle disponibilità economiche risulta pesare maggiormente il piatto dei più anziani mentre si alleggerisce e sale quello dei più giovani. I quali sono sempre meno invogliati a metter su famiglia e fare figli, per un inasprimento del già compromesso equilibrio demografico: il tasso di fecondità umbro (1,26 nel 2016) è inferiore a quello nazionale (1,34) il quale nel complesso è tra i più bassi dei paesi dell’UE e diventa ultimo in graduatoria isolando quello under 30.
In sintesi, la (sempre più) bassa presenza dei più giovani nei processi di produzione di nuova ricchezza – oltre che nella sua distribuzione – genera un nuovo impoverimento generazionale che incide negativamente sulla formazione di nuclei familiari, con una conseguente ulteriore diminuzione della natalità e una composizione demografica sempre più sbilanciata; oltre a ciò, un elevato debito pubblico, una spesa per pensioni che si amplifica per l’allungamento della vita media e una spesa sociale per anziani in inevitabile crescita finiscono per comporre uno scenario futuro a tinte cupe.
Diventa urgente cominciare a fare i conti con questo pericolo incombente che una visione a dir poco miope delle cose sembrerebbe sottovalutare.