Focus
Giuseppe Coco
Un altro 8 marzo
In un contesto dove un virus sta facendo vacillare le certezze del nostro mondo, che probabilmente ci sembrava più progredito di quello che non è, ecco avvicinarsi l’8 marzo. Il giorno dedicato alle donne, da oltre un secolo. Un giorno in cui si celebrano le conquiste sociali, politiche ed economiche ottenute dalla fine dell’ottocento ai giorni nostri.
Le ipotesi più accreditate sulle sue origini sembrerebbero essere: commemorare l’anniversario di uno sciopero di lavoratrici tessili di New York, brutalmente represso l’8 marzo del 1857; ricordare la rivolta pacifista delle operaie di Pietroburgo del marzo 1917; celebrare l’8 marzo 1848 quando le donne di New York scesero in piazza per avere i diritti politici; non dimenticare la catastrofe avvenuta nel 1911, sempre a New York, alla Triangle Walst Company, dove persero la vita 140 persone, la maggioranza delle quali erano donne.
Molto probabilmente non è stato uno specifico episodio a favorire la nascita di questa giornata, ma l’insieme degli accadimenti appena citati, più i tanti altri non menzionati.
Per quanto riguarda la scelta del simbolo della mimosa sembrerebbe che sia da attribuire alle femministe italiane dell’UDI (Unione Donne Italiane), le quali nel 1946 decisero di colorare l’evento con un tocco floreale e scelsero proprio la mimosa che fiorisce a marzo.
Per converso, però, l’8 marzo è anche un giorno utile per ricordare quello che il mondo non ha fatto per le pari opportunità. Perché per certi aspetti oggi il processo di consapevolezza mondiale intorno alla questione femminile sembra più annacquato di un tempo. Appare lontana anni luce la Conferenza Onu di Pechino del 1995. In quella circostanza sembrava proprio che si respirasse un’altra aria, la denuncia e la voglia di costruire un nuovo mondo grazie ad una grande sfida erano molto forti. L’obiettivo era mettere al centro le esperienze e i saperi delle donne e grazie a ciò cercare di fare un salto di qualità valorizzando la differenza di genere. Era molto di più che una questione di pari opportunità. Si trattava della richiesta di un cambiamento profondo della società, della politica e dei rapporti tra uomo e donna. Ma che cosa resta oggi della Conferenza di Pechino e di quelle idee? Forse non tanto. E molto probabilmente non è un caso – volendo portare un altro esempio – che nella Conferenza mondiale delle donne di Milano del 2015, vent’anni quindi dopo Pechino, si sia sentita la necessità di rimettere al centro una dettagliata World Women’s Charter “perché non ci siano al mondo luoghi privilegiati per le opportunità”. Una Carta dove vengono individuati 16 obiettivi da perseguire. Obiettivi molto stimolanti ma che al tempo stesso ci mettono nella sostanza di fronte a quello che non si è fatto.
La strada che resta da percorrere è oggettivamente ancora molta. In ballo c’è una questione di civiltà, di progresso reale. Per cui sarebbe sempre auspicabile non nascondere sotto il tappeto le questioni irrisolte. A partire, ad esempio, dalla disparità di reddito, che in Italia è ancora molto forte. La questione è lì appesa da tanti anni. I grafici sottostanti parlano chiaro.
Elaborazioni AUR su dati Istat.
Elaborazioni AUR su dati Istat.
Inoltre, il nodo della disparità dei redditi intercetta anche quello della presenza sul mercato del lavoro, in Italia e ancor più in Umbria, dove si sta consolidando nel tempo una forte specificità femminile nei contratti part time. Nel 2018 a lavorare a orario ridotto era una donna su tre, oltre 50 mila su un totale di 155 mila. Lo sbilanciamento di genere si fa ancora più marcato quando si ha a che fare con il part time involontario.
Di questo il modello sociale ne risente. E anche se apparentemente trova un nuovo equilibrio, di fatto sotterraneamente consuma grosse lacerazioni.
Elaborazioni AUR su dati Istat.
Elaborazioni AUR su dati Istat.
Tanti anni fa chi scrive, insieme ad un collega e grande amico di università, si dedicò alla realizzazione di un documentario, artigianale e messo su con mezzi di fortuna, il cui titolo era “Potere e Genere”.
Fu un’esperienza così bella che non ci si accorse neanche delle tantissime ore di lavoro che servirono per realizzarlo. Era passato da non molto Pechino 1995 e l’entusiasmo per il tema era a mille. Un entusiasmo che faceva i conti, nel nostro caso, con l’Italia di fine Novecento. Un entusiasmo che ci portò a toccare con mano, sotto tanti aspetti, la questione delle disparità di genere. Un entusiasmo che poggiava sulla convinzione che un altro mondo era possibile. Oggi ripensando a quell’esperienza viene un pochino l’amaro in bocca per quello che non si è fatto e che siamo ancora qui a ripeterci che si dovrebbe fare. Oggi forse ci vorrebbe un altro 8 marzo.
“Ciò che si vede dipende da come si guarda. Poiché l’osservare non è solo un ricevere ma al tempo stesso un atto creativo” (Kierkegaard).