Focus
Elisabetta Tondini
Mauro Casavecchia
Donne e lavoro, una strada in salita
Il percorso di avvicinamento verso un’effettiva pari opportunità di genere nel lavoro è molto lento e fatto di piccoli passi.
La recente approvazione della legge n. 162/2021 segna un avanzamento in questa direzione, con l’allargamento della nozione di discriminazione diretta e indiretta e l’introduzione della certificazione della parità di genere a partire dal 1° gennaio 2022.
In attesa che la nuova normativa produca gli effetti auspicati, va ricordato comunque che i maggiori ostacoli a una maggiore partecipazione al lavoro delle donne derivano dalla carenza di servizi di welfare che, ad oggi, si ripercuote sul mondo femminile in varie forme: più basso tasso di occupazione, minor tempo mediamente dedicato al lavoro per il mercato, maggiore discontinuità contrattuale, alta diffusione del part-time, anche involontario, inquadramenti più bassi con minore presenza nelle posizioni manageriali e, in definitiva, remunerazioni complessivamente inferiori.
Da ultimo, la crisi del 2020 non ha fatto altro che esasperare criticità già presenti, pur con qualche specificità.
Più lavoratrici ma tante precarie
Una prima evidenza apparentemente positiva che ha caratterizzato l’anno dello scoppio della pandemia è stato l’aumento complessivo, in Umbria come in Italia, del numero di lavoratrici a fronte di un lieve calo degli uomini. L’esito di queste dinamiche ha fatto salire al 46,6% l’incidenza femminile tra i lavoratori (in Italia al 44,0% e al Centro-Nord al 45,2%).
L’incremento delle posizioni lavorative nasconde in realtà un elemento di debolezza, perché in larga parte riconducibile alla componente occasionale, fortemente cresciuta rispetto al 2019 soprattutto tra le donne (+7.737 a fronte di +2.309 uomini). Vi è stato poi un consistente incremento anche nel pubblico impiego (+1.728 donne, quando gli uomini hanno visto un calo di 127 unità), comunque non sufficiente a controbilanciare la perdita subita sul fronte del lavoro dipendente privato, che ha invece registrato una diminuzione di 4.253 unità, più del doppio della corrispondente perdita occorsa sul versante maschile.
Osservando il grado di femminilizzazione delle posizioni lavorative si coglie la più diffusa condizione di svantaggio delle donne nel mondo del lavoro: quello domestico (che è la trasposizione del lavoro di cura sul mercato) è quasi tutto al femminile; di oltre tre quarti e di oltre due terzi è la presenza di donne nei lavori precari (rispettivamente occasionali e di collaborazione). Vi è poi una più massiccia presenza di donne nel lavoro pubblico (63,7%), superiore a quella su base nazionale (59,9%) e più della metà è la presenza femminile nei contratti di dottorato e di specializzazione (anche come conseguenza del maggiore livello di istruzione delle donne).
In sintesi, le lavoratrici umbre, complessivamente pari a 172.252 unità nel 2020, sono per quasi la metà dipendenti private, per il 20% dipendenti pubbliche, per un 10% domestiche, per un 7% commercianti.
Incidenza femminile in termini di unità di lavoro, settimane lavorate, redditi da lavoro in Umbria, Italia, Centro-Nord nel 2020
Fonte: elaborazioni Aur su dati Inps
Grado di femminilizzazione delle posizioni in Umbria al 2020 (quota % di lavoratrici sul totale)
Fonte: elaborazioni Aur su dati Inps
Distribuzione delle lavoratrici in Umbria per posizioni prevalenti al 2020
Fonte: elaborazioni Aur su dati Inps
Spostando l’osservazione del grado di femminilizzazione del mercato dal numero di lavoratrici alla presenza in termini di tempo, quindi al reddito percepito, si evince una graduale diminuzione del contributo delle donne che scende, in Umbria, rispettivamente al 44,7% e al 38,9%.
Gap inter e intra genere
Nel 2020 il reddito da lavoro medio delle donne, pari a 16.590 euro, è inferiore del 27% rispetto a quello degli uomini (22.721 euro). A questo svantaggio di genere si aggiunge una penalizzazione dovuta al contesto territoriale: tale reddito risulta più basso del 7,5% rispetto a quello femminile nazionale e del 12% rispetto a quello delle lavoratrici del Centro-Nord (con valori rispettivamente pari a 17.929 e 18.850 euro).
La distanza complessiva tra i redditi femminili e maschili in Umbria si propone per tutte le posizioni lavorative, seppure con diversa intensità; è massima tra le collaborazioni e le attività professionali ma di particolare rilievo, per l’importanza numerica che sottende, è il -32,7% riscontrato in corrispondenza dei dipendenti privati. Degno di nota è pure il gap del -24,7% nel lavoro pubblico.
Anche il divario tra le donne umbre e quelle delle altre regioni è massimo tra le collaboratrici e le professioniste e scarti sostanziali si riscontrano altresì nel lavoro dipendente privato (-12,3% e -19,0% nei confronti di Italia e Centro-Nord rispettivamente). Invece le dipendenti pubbliche umbre hanno stipendi un po’ superiori a quelli delle lavoratrici italiane e centro-settentrionali.
Redditi medi annui (2020): divari inter e intra genere (%)
Fonte: elaborazioni Aur su dati Inps
Non solo minor tempo al lavoro
Lo svantaggio femminile umbro deriva da un complesso di elementi che si sovrappongono.
Di sicuro, i divari retributivi di genere sono giustificati dal fattore “presenza sul posto di lavoro”: tra le lavoratrici il part-time è molto più diffuso (in Umbria riguarda il 35,6% delle dipendenti, a fronte del 9,7% degli uomini), anche in riferimento a quello involontario (rispettivamente 23,3% contro 5,8%). Per di più, è inferiore anche il numero medio annuo di settimane lavorate (39,2 contro 42,2). E minore presenza significa retribuzioni più basse.
Questo elemento tuttavia non spiega – da solo – le differenze di reddito tra le lavoratrici umbre e quelle di Italia e Centro-Nord in particolare, il cui tempo lavorato è molto simile.
Ad aggravare la situazione umbra entrano in gioco i noti fattori di tipo ambientale (struttura produttiva e organizzazione del lavoro), che penalizzano la regione nei confronti territoriali. Si tratta infatti di condizioni insite nei caratteri degli assetti produttivi che, per loro natura, travalicano il genere. Non è un caso che l’Umbria, rispetto a Italia e Centro-Nord, presenti un gap di redditi da lavoro più alto tra gli uomini (-8,0% e -15,2% rispettivamente) che non tra le donne (-7,5% e -12,0%). E ancora, secondo questa chiave di lettura la regione si caratterizza per divari di genere lievemente più attenuati che nel resto del paese: il differenziale donne-uomini per il reddito da lavoro medio al 2020 è infatti di -27,0% per l’Umbria, di -27,4% per l’Italia, di -29,6% per il Centro-Nord, in ragione di livelli più elevati nella componente maschile.
Redditi medi per genere e per posizione prevalente in Umbria al 2020 (euro correnti)
Fonte: elaborazioni Aur su dati Inps
Redditi medi per posizione prevalente delle donne lavoratrici in Umbria, Italia, Centro-Nord al 2020 (euro correnti)
Fonte: elaborazioni Aur su dati Inps
I numeri appena commentati danno conto di quanto effettivamente accumulato in un anno dalle unità di lavoro in funzione della quantità di tempo lavorato. Per cogliere il gap retributivo di genere scorporato dalla variabile “tempo” è utile far riferimento al Gender Pay Gap, l’indicatore basato sulla remunerazione oraria. Poiché come abbiamo visto le donne tendono a dedicare una minore quantità di tempo al lavoro per il mercato, è logico aspettarsi divari retributivi orari più bassi di quelli ottenuti su base annua.
Secondo le stime Istat, tale indice – calcolato per i dipendenti delle imprese e delle istituzioni pubbliche con almeno 10 dipendenti – si attesterebbe in Italia al 6,2%, un valore che si fa massimo nel comparto privato (17,7%) e si minimizza nel pubblico (2%). Nel part-time e nei contratti a tempo determinato, che interessano soprattutto le donne, la retribuzione media oraria è più bassa rispettivamente del 31% rispetto al full-time e del 30% rispetto ai tempi indeterminati. Considerando da ultimo le qualifiche e i livelli di istruzione, il differenziale retributivo di genere risulta più alto in corrispondenza delle figure dirigenziali (27,3%) e dei laureati (18%).
Il Covid ha acuito il gap di genere
Osservando gli ultimi anni, la lieve convergenza verso i livelli italiani dei redditi da lavoro medi di donne e uomini in Umbria maturata negli ultimi anni è stata quasi del tutto vanificata dall’inversione di tendenza del 2020, che ha riportato i redditi da lavoro ai livelli di 5 anni prima, indistintamente per genere e territorio. La diminuzione dei redditi si è accompagnata a un nuovo e generalizzato inasprimento delle differenze di genere, sia in Umbria che altrove.
Anche l’analisi sul fronte retributivo testimonia dunque come il Covid abbia acuito il dislivello tra uomini e donne, poiché ha colpito settori (servizi, tra cui turismo e ristorazione) e forme contrattuali (tempi determinati) particolarmente vulnerabili e altamente femminilizzati. Non solo: ha indotto una parte consistente di donne e madri a trascorrere più tempo tra le mura domestiche per farsi carico del lavoro di cura dei familiari, soprattutto dei propri figli in DAD.
La conseguenza è stata inevitabile: un’ulteriore contrazione del tempo dedicato alla produzione per il mercato e dunque redditi più bassi. Tale fattore ha ulteriormente appesantito un percorso lavorativo – quello delle donne – già di per sé disseminato di ostacoli, quelli che l’introduzione della certificazione della parità di genere vorrebbe rimuovere. Al di là delle raccomandazioni normative, solo la convinta diffusione di concrete pratiche virtuose (un’attribuzione delle mansioni più equa, progressioni di carriera più fluide, modelli organizzativi più confacenti alle esigenze di conciliazione) potrà favorire il dispiegamento del potenziale femminile nel mondo del lavoro.
Redditi dei lavoratori e delle lavoratrici in Umbria e in Italia (euro correnti)
Fonte: elaborazioni Aur su dati Inps