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Rosita Garzi
Professoressa Aggregata di Sociologia del lavoro Università degli Studi di Perugia - Consigliera di Parità della Regione Umbria

L’importanza dei congedi di maternità e paternità

28 Giu 2023
Tempo di lettura: 4 minuti

L’Italia è uno dei paesi al mondo in cui l’inverno demografico è più accentuato con un tasso di fecondità che non solo non assicura il ricambio generazionale, ma che negli ultimi cinquanta anni si è ridotto sempre di più arrivando oggi a circa 1,2 figli per donna. In questo quadro rientra anche la nostra regione dove da diversi anni si registra il calo costante della natalità.

A fianco di questo si registra un altro fenomeno che riguarda sempre il nostro paese e il nostro territorio locale. L’Italia è all’ultimo posto in Europa nella graduatoria che riguarda l’occupazione femminile, al 2022 al 51,1% a fronte di una Ue che si attesta intorno al 65%. Siamo stati superati anche dalla Grecia che ha registrato tre punti in più passando dal 48,2% al 51,2%. Nella classifica rimane ancora molto lontana la possibilità di raggiungere la Germania dove il tasso di occupazione femminile raggiunge addirittura il 73,5%. Ci sono sicuramente tanti fattori socio-economici che incidono su questo all’interno dei Paesi collocati ai vertici, ma balza all’occhio il fatto che dove le donne lavorano di più siamo di fronte anche a tassi di fecondità più alti.

La domanda che sorge spontanea allora riguarda il possibile legame esistente tra i due fenomeni, ovvero che possa crescere insieme sia il lavoro femminile sia il tasso di fecondità. Una domanda opportuna laddove si cercano soluzioni plausibili per invertire la rotta e forse lo studio delle realtà virtuose può essere di aiuto nella progettazione di politiche sociali efficaci. In effetti in presenza di adeguate misure e strumenti che sostengano le famiglie nell’armonizzare i ruoli tra impegni e tempi nei vari ambiti, chi ha lavoro più facilmente sceglie di avere un figlio e chi ha un figlio maggiormente si offre nel mercato del lavoro. Viene facile pensare così che i vari tentativi di investimento sul lavoro femminile e sulla creazione di pari opportunità potrebbero avere un effetto anche sulla fecondità.

Riprendendo l’ultimo Focus di Giuseppe Coco (L’Umbria nella trappola demografica italiana) che insisteva sulle misure per la natalità, presentandone alcuni esempi messi in atto, è bene ragionare sui congedi e in particolare su quello di paternità facendo una riflessione sulla sua applicazione e in particolare sulla durata e l’estensione in Italia e nei paesi più fecondi e meno discriminanti verso le donne nel mercato del lavoro.

In Italia il congedo per i padri prima del 2013 non esisteva e si trattava di una sorta di congedo sostitutivo a quello materno. Dal 2021 è divenuto obbligatorio e fissato a 10 giorni, ma erano solo 2 giorni nel 2017, 4 nel 2018, 5 nel 2019 e 7 nel 2020. Un cammino breve e intenso ma forse ancora soltanto all’inizio.

In effetti nei paesi europei in cui la fecondità è alta, anche la partecipazione al mercato del lavoro delle donne è alta, oltre ai servizi cui si è fatto cenno e alle particolari condizioni economiche dei Paesi, si registra una partecipazione alla cura dei figli più equilibrata grazie a congedi più accessibili e più estesi proprio per i padri.

Partiamo con chi si trova in testa alle classifiche e rappresenta un modello culturale cui l’Italia può facilmente fare riferimento, la Francia. Qui già nel 2002 i padri godevano di 3 giorni di congedo obbligatorio alla nascita cui potevano aggiungere altri 11 di congedo parentale, oggi invece sono raddoppiati da 14 a 28.

Facendo un balzo nei paesi scandinavi troviamo la Danimarca in cui, su un totale di 52 settimane, 2 sono del papà, 14 della mamma, il resto da spartire in modo equo. In Svezia ogni genitore ha diritto a 12 mesi di congedo da condividere, con l’obbligo di prenderne però almeno due a testa.

In Germania arrivano fino a 12 i mesi di congedo parentale che diventano 14 se ne beneficia anche il papà (per almeno due mesi) e con una retribuzione pari al 67% dello stipendio.

Sulla base di questo anche altri Paesi hanno intrapreso strade simili. E in effetti recentemente (2021) anche in Spagna hanno tentato una strada come questa rendendo addirittura equivalenti i congedi di paternità a quelli di maternità e arrivando a coprire fino a 16 settimane: donne e uomini hanno retribuzione al 100% per lo stesso permesso e per la stessa durata per la nascita di un bambino.

Viene da chiedersi dunque se non sia questa una delle strade possibili da intraprendere anche per il nostro paese per sostenere la genitorialità, ma soprattutto per incentivare donne e uomini a essere doppiamente produttivi.

Negli ultimi trent’anni la variazione percentuale dei salari annuali medi dei paesi virtuosi (presi in considerazione), sul fronte nascite e occupazione, hanno visto un incremento che oscilla dal 31,1% della Francia al 63% della Svezia. Situazioni che nulla hanno a che vedere con il nostro “povero” padre lavoratore il cui stipendio non solo non è cresciuto, ma nello stesso arco temporale è addirittura diminuito del -2,9% (Fonte: Openpolis 2021). Pare opportuno quindi che in Italia si debba cercare una strada che accontenti tutti anche economicamente, e considerando che gli stipendi del nostro paese negli ultimi anni non si sono adeguati, una delle soluzioni da adottare fin da subito – tra quelle possibili (e auspicabili) – potrebbe essere il mantenere al 100% la retribuzione durante i periodi di congedo per la cura dei figli.