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Elisabetta Tondini
Agenzia Umbria Ricerche
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Mauro Casavecchia
Agenzia Umbria Ricerche

Le imprese umbre affrontano il salto digitale

9 Feb 2021
Tempo di lettura: 6 minuti

L’accelerazione nell’adozione di soluzioni digitali per contrastare gli effetti del forzato distanziamento potrebbe costituire una buona opportunità per favorire l’innovazione del sistema. Resta da vedere tuttavia quanto questa tendenza rappresenti l’avvio di un effettivo cambio di paradigma in grado di intervenire in modo profondo su processi e strategie produttive o se, piuttosto, non costituisca una mera reazione di tipo difensivo, legata alla contingenza, non in grado di incidere in modo significativo e duraturo sulla competitività.

Strategie

Più in generale, la situazione odierna richiede alle imprese di ripensare le proprie strategie. Se è vero che l’operazione è resa estremamente complessa dalle numerose incognite sull’andamento e sulle trasformazioni della domanda interna ed estera, non vi è dubbio che la permanenza sul mercato dipende molto dalla capacità di individuare e mettere in atto tempestivamente misure idonee.
In realtà, questa esigenza non sembra particolarmente diffusa tra le imprese. La rilevazione Istat su base regionale condotta tra quelle con oltre tre addetti tra ottobre e novembre scorsi, ci dice infatti che il 43% delle unità umbre, al pari di quelle nazionali, fino al prossimo giugno non intende attivare strategie di alcun tipo. Una quota ancora più estesa rispetto a maggio 2020, quando le imprese che non avevano pianificato alcun tipo di azione erano un terzo del totale.

Strategie che le imprese hanno adottato o stanno valutando di adottare a breve
(Umbria, imprese con oltre tre addetti – valori %)

* Le imprese intervistate potevano dare più risposte
Fonte: elaborazioni Aur su dati Istat 2020, giugno e dicembre

Tra queste imprese apparentemente “immobili”, quelle che ritengono di non avere bisogno di attivarsi perché – per varie ragioni – se lo possono permettere sono una minoranza. Per la maggior parte si tratta invece di imprese che potremmo definire “attendiste” in quanto, pur avvertendo l’esigenza di mettere in campo qualche azione, si dichiarano spiazzate, non sanno bene in quale direzione muoversi oppure, pur sapendolo, non sono in grado di agire (per mancanza di mezzi finanziari o per difficoltà di riorganizzazione, spesso anche legate all’assenza di competenze interne).
Sull’altro fronte, tra le imprese più “reattive” che invece hanno già intrapreso o almeno individuato la strada da percorrere, non si evince una strategia preferenziale, adottata cioè da una quota importante di imprese, piuttosto emerge una frammentazione di interventi, su vari ambiti, lasciando intuire che non esiste una ricetta univoca. Si può presumere che entità e tipo di reazioni si differenzino sostanzialmente a seconda dell’ambito produttivo e delle dimensioni aziendali.
Le imprese più pronte all’adattamento tendono in generale a combinare più opzioni di tipo innovativo riguardanti i processi e i prodotti, la riorganizzazione interna, le modalità e i canali di distribuzione. In particolare, si distinguono: la produzione di nuovi beni, l’offerta di nuovi servizi o l’introduzione di nuovi processi produttivi non connessi con l’emergenza sanitaria pur restando nell’ambito della propria attività economica (strategia seguita da una impresa su dieci); la modifica o l’ampliamento dei canali di vendita o dei metodi di fornitura/consegna dei beni o servizi (es. passaggio ai servizi online, e-commerce e modelli distributivi multi-canale), seguita da circa una su otto; la riorganizzazione dei processi e degli spazi di lavoro o degli spazi commerciali, adottata da una impresa su dieci. Ancora: otto imprese su cento hanno scelto di lavorare sul potenziamento delle reti e della cooperazione con altre imprese, intensificando le relazioni esistenti o creando partnership con altre imprese nazionali o estere mentre una su dieci dichiara di voler intervenire con una drastica riduzione dei propri dipendenti. Infine, va evidenziato che soltanto otto imprese su cento (in diminuzione rispetto alla indagine di maggio 2020) dichiarano di aver intrapreso o di voler intraprendere percorsi di transizione digitale e di maggiore utilizzo di connessioni virtuali verso l’interno e l’esterno.

Digitale

Il distanziamento sociale ha imposto a molte attività di irrobustire la propria dotazione tecnologica, soprattutto sul versante digitale. Da questo punto di osservazione, sono più che triplicate (rispetto a uno scarso 10% di unità già attrezzate prima dell’emergenza) le imprese che in Umbria hanno potenziato, introdotto o intendono introdurre infrastrutture e dispositivi per il lavoro a distanza e per la comunicazione interna.

Conseguenze del Covid-19 sulle modalità di comunicazione e collaborazione digitale
(Umbria, imprese con oltre tre addetti – valori %)

Fonte: elaborazioni Aur su dati Istat 2020, dicembre

Le imprese che dispongono della connessione a banda ultra larga passano da quattro a sei su dieci e quelle che hanno potenziato, introdotto o prevedono l’introduzione di soluzioni collaborative web vedono più che triplicare la loro presenza, seppure partendo da un esiguo 5%.
Sul fronte della comunicazione con i clienti, è evidente uno sforzo da parte delle imprese di allargare la propria presenza sui canali online, a partire dal proprio sito web e dalla presenza sui numerosi canali social, modalità che arriveranno a coinvolgere circa la metà del totale delle imprese.

Conseguenze del Covid-19 sulle modalità di comunicazione con la clientela
(Umbria, imprese con oltre tre addetti – valori %)

Fonte: elaborazioni Aur su dati Istat 2020, dicembre

Sul versante della commercializzazione, la diffusione della vendita attraverso il proprio sito web, praticata prima dell’emergenza da un’impresa su dieci, raddoppia; mentre la vendita online attraverso comunicazioni dirette (e-mail, moduli online, Facebook, Instagram) passa dal 15% al 26%.
Altre forme di commercializzazione (vendita tramite piattaforme tipo Amazon, distribuzione con canali propri o attraverso corrieri, pagamenti digitali etc.) pur in crescita, vengono adottate da non più di un’impresa su dieci.

Conseguenze del Covid-19 sulle attività di commercializzazione
(Umbria, imprese con oltre tre addetti – valori %)

Fonte: elaborazioni Aur su dati Istat 2020, dicembre

Investimenti

Tra le strategie possibili, quelle che implicano una spesa destinata agli investimenti sono più fortemente condizionate dal clima di fiducia nei confronti del futuro. Un clima particolarmente incerto, considerando che due imprese umbre su cinque, tra ottobre e novembre 2020, non erano in grado di prevedere l’entità di detta spesa fino a dicembre. Tra quelle invece più consapevoli, un quinto dichiara di mantenere invariato l’ammontare investito nel secondo semestre dell’anno rispetto al 2019, mentre quasi un terzo prevede un calo tendenziale, quantificabile per la maggior parte di esse in una variazione negativa di oltre il 20%. Soltanto otto imprese su cento prefigurano un aumento dei propri investimenti.

Variazione della spesa per investimenti nel secondo semestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019
(Umbria, imprese con oltre tre addetti – valori %)

Fonte: elaborazioni Aur su dati Istat 2020, dicembre

Se si scende a esaminare le specifiche aree di intervento, emerge un nervo scoperto nella struttura produttiva e dunque nella capacità competitiva delle imprese umbre (ma anche italiane): Ricerca e Sviluppo, Internazionalizzazione, Tecnologia e digitalizzazione e Sostenibilità ambientale e responsabilità sociale vengono dichiarate per la maggior parte dei casi (75%, 63%, 45%, 44% rispettivamente) aree strategicamente non rilevanti. Si salva in parte il Capitale umano e formazione, per cui il disinteresse a investire scende al 23%.

Variazione della spesa per investimenti nel secondo semestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019 per aree di intervento (Umbria, imprese con oltre tre addetti – valori %)

Fonte: elaborazioni Aur su dati Istat 2020, dicembre

Per tre aree su cinque (internazionalizzazione, R&S, capitale umano) le imprese umbre che pensano a un rafforzamento della spesa in investimenti vengono ampiamente sorpassate, come quota, da quelle che avrebbero operato invece una riduzione. In controtendenza due aree (digitalizzazione e sostenibilità), ove prevalgono le unità che tendono a potenziare/migliorare il capitale produttivo rispetto a quelle che invece dichiarano un disinvestimento.
In questo quadro, lo sforzo del sistema – accentuato dalla pandemia – di aumentare il contenuto digitale nelle proprie attività, è chiaramente visibile dal fatto che è proprio nell’area tecnologia e digitalizzazione che si addensa il maggior numero di imprese che hanno scelto la via del potenziamento degli investimenti.
In generale, dunque, non vi è dubbio che l’emergenza abbia stimolato un certo rafforzamento della dotazione digitale delle attività produttive, ma non si può dire che abbia rivoluzionato, almeno per ora, l’operatività aziendale. Ne è ulteriore testimonianza la scarsa diffusione, tra le strategie privilegiate, dei percorsi di transizione digitale, a indicare una certa cautela del sistema nel suo insieme nell’approcciare il sentiero della nuova normalità.