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Giuseppe Coco
Agenzia Umbria Ricerche

L’Umbria del vino e la contemporaneità

6 Feb 2023
Tempo di lettura: 6 minuti

In questo inizio del 2023 ritorniamo a riflettere sul mondo del vino, riprendendo il discorso già avviato nel 2022 (Link). E lo facciamo non solo perché quella del vino è un’industria sempre più importante e consistente in termini di fatturato, ma anche perché è potenzialmente in grado di dare una grossa mano al settore turistico vista la sua enorme capacità attrattiva.

La realtà ci dice che gli enoturisti sono una community sempre più ampia. Un esercito in costante crescita attentissimo alla qualità del prodotto e alla dimensione esperienziale; due elementi che fanno la differenza quando si sceglie di organizzare l’escursione in questo o quel territorio vitivinicolo, quando si accorda la propria preferenza alla cantina x o y, quando si decide di assaggiare quel determinato vino anziché quell’altro. Inoltre, e non va trascurato, gli enoturisti hanno una notevole capacità di spesa: dai dati disponibili si evince che mediamente spendono a persona attorno ai 90 euro quando non pernottano e 200 euro quando pernottano.

“Gli enoturisti sono una community sempre più ampia. Un esercito in costante crescita attentissimo alla qualità del prodotto e alla dimensione esperienziale”

Nel presente focus, consci che siamo di fronte ad un universo che merita di essere analizzato e studiato, ci occuperemo in prima battuta della crescita della qualità del vino umbro; per poi tentare di capire cosa nella nostra contemporaneità favorisce – oltre alla qualità ovviamente – l’ascesa di una determinata area e dei suoi prodotti nell’olimpo del mondo del vino.

L’Umbria del vino

I dati degli ultimi anni ci dicono che in Umbria sono state privilegiate le produzioni di vini di qualità. In particolare, osservando la tabella 1 possiamo facilmente rilevare che la percentuale di vino da tavola – quello che in genere è ottenuto dalla vinificazione di uve più svariate, senza indicazione di territorio o di annata – rispetto ai vini I.G.P. e D.O.C. è minoritaria. Nel 2022, ad esempio, i vini bianchi da tavola umbri hanno avuto una produzione di circa 20 mila ettolitri contro i 95 mila degli I.G.P. e i 142 mila dei D.O.P. I rossi da tavola hanno fatto registrare una produzione di circa 16 mila ettolitri contro i 134 mila degli I.G.P. e i 120 mila dei D.O.P.

Facendo un confronto con quello che avviene in Italia, ci si rende conto meglio della strada percorsa dall’Umbria. Infatti, a livello nazionale la categoria dei vini da tavola occupa una quota parte del totale decisamente più ampia (tab. 2). Nel 2022, ad esempio, la produzione dei bianchi da tavola ha superato di circa 2mln di ettolitri quella degli I.G.P.. Ma anche i rossi da tavola, seppur per una incollatura, hanno superato la produzione degli I.G.P..

“I dati degli ultimi anni ci dicono che in Umbria sono state privilegiate le produzioni di vini di qualità”

Che la qualità del vino umbro è in grande crescita è testimoniato, oltre che dal tipo di produzione verso cui si è orientata la regione, anche dai numerosi riconoscimenti che sta ricevendo. Basti pensare, ad esempio, che l’anno scorso sono stati ben 15 – record di sempre – i vini premiati coi prestigiosi “Tre Bicchieri” della guida “Vini d’Italia” del Gambero Rosso.

Comunque sia, sotto un profilo più generale, tutti gli addetti ai lavori non mancano di evidenziare che ci troviamo di fronte ad un territorio che, seppur di piccole dimensioni, all’oggi è riuscito a mettere in piedi un’offerta di qualità che non ha niente da invidiare a quello che si può trovare in altre regioni molto più grandi e rinomate, siano esse italiane, australiane, californiane, ecc… E questo è emerso con chiarezza anche nel corso della seconda edizione del Concorso enologico “L’Umbria del Vino” (24-26 gennaio 2023) – unico concorso enologico regionale autorizzato dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste – ideato dalla Camera di Commercio dell’Umbria e dove in una tre giorni sono stati degustati 162 vini di 58 aziende vitivinicole umbre rappresentative dell’universo enologico regionale.

La contemporaneità

Cercare di migliorare anno dopo anno la qualità dei propri vini è fondamentale. E l’Umbria su questo fronte sta lavorando bene. Ma il migliorare la qualità, sembrerà contro-intuitivo, oggi da sola non basta per imporre al mondo i propri prodotti e di conseguenza per riuscire a consacrarsi come un territorio top del vino.  E questo sostanzialmente perché la qualità è di fatto una precondizione necessaria ma non sufficiente per affermarsi appieno. Invece, per far sì che questo succeda, c’è sicuramente bisogno di mettere al proprio arco, piaccia o meno, quanti più vini di pregio possibili: i cosiddetti fine Wines fanno la differenza.

“I fine Wines fanno la differenza per riuscire a consacrarsi come un territorio top del vino” 

Ma cosa sono questi fine Wines?

Lapidariamente parlando, per dirla col critico inglese Hugh Johnson, sono quei vini di cui vale la pena parlare. Volendo essere meno lapidari, potremmo inquadrali con i vini di pregio che riescono a coinvolgere appieno il consumatore perché:

 hanno un gusto equilibrato ed armonico in grado di perpetuarsi nel tempo, anche se con sfumature diverse;
 riescono ad esaltare il terroir dove vengono prodotti, ovvero valorizzare quel combinato disposto che lega un vitigno al microclima, alle caratteristiche minerali del suolo in cui è allevato, al fattore umano;
 sono rari, ovvero sono prodotti in quantità limitata, per cui l’assaggio si trasforma al tempo stesso in un’esperienza esclusiva.

E non solo. Spostandoci su un asse più strettamente legato al marketing, possiamo dire che i fine wines hanno le giuste caratteristiche per diventare le icone di quella narrazione capace di:

 tracciare nuovi orizzonti per l’immaginazione collettiva;
 generare un coinvolgimento legato a fattori emozionali e intangibili;
 dare visibilità e centralità anche a tutti quei territori vitivinicoli meno noti.

A ben vedere, questo tipo di vini fanno anche di più: incidono positivamente sull’andamento del valore dei vigneti, facendo diventare desiderabile per gli investitori acquisirne la proprietà. Per cui poi non c’è assolutamente da stupirsi se, ad esempio, in zone come quelle del Barolo o del lago di Caldaro (BZ) un ettaro di vigneto nel 2021 è arrivato a costare rispettivamente 1,5 milioni e 800 mila euro. Come non c’è da stupirsi se in Italia centrale i vigneti delle principali aree vinicole della Toscana (Tabella 3) viaggiano su altre quotazioni rispetto agli altri della stessa area.

Un appunto finale

Se la qualità del vino umbro, anno dopo anno, sta crescendo, non possiamo dire lo stesso della sua forza narrativa, che in realtà fatica ad imporsi. E fatica, per chi scrive, soprattutto per due ordini di fattori:

a) per l’avere tante cantine piccole – oltre la metà delle circa 1.300 aziende vinificatrici presenti sul territorio produce meno di 100 ettolitri – dove il concetto di marketing è praticamente un estraneo;

b) per il non avere nessun vino nella classifica dei top brand di alta gamma elaborato dalla London International Vintners Exchange (Liv-Ex) che, nella realtà delle cose, ha favorito una vera e propria rivoluzione nel mercato dei fine wines: gli ha dato nuova linfa e notorietà, e non solo sul versante del trading.

Per concludere. Se si vuole avere l’ambizione di essere riconosciuti e riconoscibili come area del vino e di poter contare su fine wines in grado di far parlare di loro stessi, per dirla con Hugh Johnson, c’è bisogno innanzitutto di analizzare e studiare le mutazioni a cui sta andando incontro il settore. Dopodiché c’è da rifare una pensata sulle politiche che lo sostengono.

 

 

 

 

 

 

Appendice

A) Superficie vigneti

B) Le denominazioni umbre

Nella tabella A1 vengono riportate tutte le denominazioni umbre, ovvero quelle classificazioni normative che identificano i vini in base a determinate peculiarità qualitative/organolettiche che offrono in modo chiaro al consumatore le informazioni necessarie per comprendere con che vino ha a che fare.