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Andrea Cardoni
Università degli Studi di Perugia

L’Umbria e il PNRR / 9 – La prioritaria sfida di governance e managerialità

20 Mag 2021
Tempo di lettura: 6 minuti

Nel PNRR umbro, più che in quello nazionale, viene sottolineato in premessa un concetto fondamentale: c’è un problema di riposizionamento del sistema produttivo nel nuovo scenario competitivo globale.
L’Umbria è stata sempre caratterizzata da una economia flessibile. Nei tempi d’oro hanno convissuto grandi aziende locali (leader della competizione internazionale) e un sistema di piccole e medie imprese con interessanti specializzazioni settoriali. Questa fruttuosa convivenza è scomparsa da decenni. E’ rimasto il tessuto a maggiore vocazione imprenditoriale, con limitate dimensioni aziendali e manageriali, le cui buone performance hanno stemperato, in positivo e in negativo, gli andamenti nazionali. Anche questo trend è finito. Nell’assetto geo-politico-economico attuale, il sistema produttivo umbro sembra ormai caratterizzato da uno svantaggio competitivo strutturale. Per assicurare un posizionamento di successo non basta il (tanto) talento imprenditoriale, le (non poche) eccellenze produttive in vari settori e la (diffusa) presenza di aziende familiari, dinamiche e flessibili.
Quali le ragioni? A mio parere le seguenti.
1) La flessibilità non sempre va d’accordo con il posizionamento, che è coerenza, focalizzazione. Per dirla con le parole di Porter (Harvard), lo studioso che più di tutti ha contribuito a sviluppare il concetto, è scegliere prima di tutto “cosa non fare”. Ci vogliono tante competenze, tanto coraggio, disciplina e rigidità, il contrario della flessibilità. Posizionamento è investire, in beni tangibili e intangibili, è puntare sul capitale umano. Detto in altri termini, è imbarcare i famigerati “costi fissi”, che sono il contrario della flessibilità e della sua espressione contabile, ovvero i “costi variabili”;
2) Il posizionamento dipende dal modello di business dell’azienda, che è il risultato di una strategia, e sempre più dalla qualità della governance, secondo uno schema che potremmo così sintetizzare:

Governance -> Strategia -> Modello di Business -> Posizionamento

Il posizionamento non è la causa, ma l’effetto di un processo molto lungo, di un lavoro faticoso che richiede tanti ingredienti. Gli attuali sistemi di produzione, di qualsiasi dimensione e settore, sono diventati complessi. Piccolo non è più tanto bello e, soprattutto, non necessariamente più semplice; tutt’altro. Con la globalizzazione e l’innovazione tecnologica si è innescato un principio di “non proporzionalità”: dimensioni grandi -> complessità grandi; dimensioni piccole -> complessità grandi. Con tutto quello che ciò comporta sulla qualità della governance e del capitale umano necessario ad affrontare queste sfide. Lo rivelano molti studi, non ultimo quello della Banca d’Italia del 2018: governance troppo semplici, eccessiva presenza dei familiari nei ruoli direttivi (in Italia 4 volte superiore a ciò che succede nel resto d’Europa), limitato livello di managerialità e di capitale umano, rappresentano un freno all’innovazione e alla produttività, oltre che un ostacolo al rafforzamento patrimoniale, all’apertura del capitale sociale a partner esterni e alla diversificazione della struttura finanziaria.

3) Cambiare posizionamento non è affatto facile. In letteratura si definisce path dependency, ovvero una dipendenza delle scelte presenti da quelle del passato, che produce un auto-rafforzamento delle condizioni esistenti, un effetto di conservazione, una cronica incapacità di innescare un cambiamento se non a seguito di shock esogeni. Il contrario è la path creation, la capacità di progettare e avviare percorsi nuovi grazie ad una attitudine pro-attiva, una azione corale dei vari attori fuori e dentro le aziende, basata su un elevato stock di conoscenza e capacità di apprendimento. Tutte doti in cui la nostra regione non ha mai brillato.

Letto alla luce di questi elementi, come si pone il PNRR umbro? Sarà in grado di neutralizzare la path dependency e riposizionare il sistema produttivo umbro?

Il documento non va affatto sottovalutato. L’emergenza COVID è uno shock che, tra le tante drammatiche conseguenze, sta creando condizioni privilegiate per marcare davvero una discontinuità. Le risorse in gioco sono molte, così come le nuove consapevolezze planetarie sull’importanza del digitale nei processi produttivi e di consumo, sul cambiamento degli stili di vita e sul riposizionamento delle filiere produttive, sempre più orientate alla qualità e alla sostenibilità.
Tuttavia, nella prospettiva aziendalistica, il documento non deve nemmeno essere sopravvalutato. Non si può dimenticare che il posizionamento del sistema produttivo umbro è la sommatoria, messa a sistema, dei posizionamenti delle aziende umbre. Mai nessun documento o nessuna politica industriale potranno cambiare il posizionamento di una impresa, se non in presenza di svariati ingredienti interni. E la grande sfida deve prima di tutto iniziare dentro le aziende, con le esigenti condizioni che tale processo richiede.

Mi sentirei pertanto di riformulare il quesito. Rispetto a questa grande sfida, il PNRR umbro può incidere sulle determinanti del posizionamento aziendale? Può contribuire a cambiare la strategia e la governance delle aziende umbre per generare un riposizionamento?

Sul piano della strategia, ritengo che il PNRR possa avere una forte valenza di metodo. Definendo una piattaforma organica di strumenti, coordinati con misure europee e nazionali, stanziando una ingente mole di risorse in un orizzonte di medio-lungo periodo, il PNRR può costituire un quadro di riferimento molto utile a supportare la progettualità interna delle aziende.
Mi riferisco agli interventi orizzontali (sottocapitalizzazione, green e sostenibilità), trattati nella Missione 1 (Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura) con una proposta di stanziamento complessivo di 180 milioni di euro: si tratta di misure che, seppur non particolarmente originali, forniscono un insieme di leve che la singola azienda potrà ampiamente sfruttare per innovare il suo modello di business e riposizionarlo verso l’alto.
Ad un livello diverso vanno considerati i progetti di potenziamento delle infrastrutture, siano esse tangibili e intangibili, contenuti nella Missione 3 (Infrastrutture per una mobilità sostenibile) e 4 (Istruzione e Ricerca). Senza entrare nel merito delle singole iniziative e dei relativi risvolti politici, tutto ciò che riuscirà a spezzare l’atavico isolamento della nostra regione e contribuirà ad accumulare capitale cognitivo, sarà certamente di grandissimo valore per la strategia delle aziende umbre. Le risorse messe in campo sono davvero straordinarie e il problema più grande sarà piuttosto di implementare quanto più efficacemente e tempestivamente gli interventi approvati. Le aziende hanno bisogno di condizioni chiare, tempi certi e di connessioni sempre più agevoli. Sulle infrastrutture il ritardo accumulato è molto grave. Ai fini della strategia aziendale, non c’è più tempo da perdere.

Sul piano della governance, la questione si complica. Il sistema produttivo umbro, esasperando dinamiche tipicamente italiane, dovrà affrontare nei prossimi anni il rilevante problema dei passaggi generazionali. Un capitolo, questo, da inquadrare nella più ampia sfida dell’innalzamento della cultura aziendale e della managerialità. Managerialità che non implica necessariamente assumere manager pluridecorati (spesso insostenibili per i conti economici delle nostre aziende), ma piuttosto disporre di competenze (interne, esterne o un mix) per elaborare un buon piano industriale, gestire il personale tramite sistemi di management by objective (MBO), usare sistematicamente il controllo di gestione, formulare una buona strategia di marketing, gestire progetti di ricerca strutturati, magari in collaborazione con Università e centri esterni. Per raggiungere questi livelli ci vuole tanta formazione, interventi specialistici, connessioni con i contesti professionalmente più evoluti.
Oggi, anche una azienda piccola deve saper fare queste cose, e lo deve saper fare bene, disponendo di competenze specifiche, diffuse e condivise a tutti i livelli dell’organizzazione.
Tali competenze costituiscono le pre-condizioni necessarie per affrontare, con la dovuta consapevolezza strategica, i tanto decantati investimenti sul green, sulla digitalizzazione e sulla sostenibilità, veri drivers del riposizionamento. Non dimentichiamo che tra i fattori discriminanti con cui si stanno spostando i capitali a livello mondiale, i famosi indicatori ESG (environmental, social, governance), la G di governance, appunto, è uno dei requisiti più universali e rilevanti per essere valutati come sostenibili.
Su questo fronte, e sul piano del merito, il PNRR umbro mostra a mio parere una grande carenza sotto il profilo aziendalistico. Tante misure orizzontali rischiano di esse vane se non viene prima affrontato il tema della governance e della managerialità delle aziende. Anche collegandosi ad altre sezioni del PNRR umbro il problema emerge. Le iniziative previste nella Missione 4 , pur negli intenti virtuosi, mantengono una prospettiva molto sbilanciata sui settori innovativi e technology oriented. Tra le linee di agevolazione per i progetti verticali sarà sicuramente possibile innestare una progettualità dal basso in cui inserire anche il rafforzamento delle competenze manageriali. Ciò non di meno sarebbe stato importante dare un segnale forte e usare il PNRR per porre il tema delle competenze manageriali come un punto prioritario dell’agenda.
Senza un adeguato sistema di competenze manageriali sarà difficilmente realizzabile il riposizionamento del sistema produttivo regionale. In Umbria, più che in Italia, c’è un problema di trasferimento manageriale oltre che tecnologico. Va dato atto che con l’iniziativa denominata  “Start and Grow” del PNRR regionale, è stata prevista una forma di mentoring manageriale per le start-up, dedicata allo sviluppo di progetti innovativi, nei settori innovativi. Tuttavia, quali interventi specifici sono previsti per le restanti aziende del tessuto imprenditoriale, operanti nei settori tradizionali? Ad esempio, quel folto numero di unità produttive (oltre 500) che si trovano nella fascia di fatturato che va dai 5 a 25 milioni di euro di fatturato, con un valore della produzione aggregato che supera i 5 miliardi di euro e occupano quasi il 10% degli addetti in Umbria? Queste aziende hanno spesso prodotti e competenze produttive di qualità, ma non riescono a fare il salto, a strutturare una proposizione di valore, sostenibile, digital-based e marketing-oriented, anche per la carenza di adeguate competenze manageriali. Molto spesso, più che i finanziamenti, la vera risorsa scarsa sono i progetti ben strutturati.
Il tema della managerialità è dunque centrale per il riposizionamento strategico delle aziende. Trovo interessante uno specifico passaggio del PNRR Nazionale, sul tema della transizione al 4.0, che parla della necessità di elaborare e sperimentare un modello di riqualificazione manageriale, focalizzato sulle PMI, con programmi di formazione ad hoc, il coinvolgimento delle associazioni di categoria e l’utilizzo di modelli di diffusione incentrati su piattaforme digitali.
A conferma di ciò mi sento di ricordare quanto accadde nel dopoguerra, nell’ambito del Piano Marshall, attraverso il “Productivity Plan”, uno speciale programma dedicato alle PMI italiane che agevolava investimenti tecnologici, ma solo accompagnati da un percorso di mentoring manageriale. Una ricercatrice di Stanford ha recentemente dimostrato, dati alla mano, che il trasferimento manageriale ha portato molti più effetti sulla sopravvivenza, produttività e profittabilità rispetto a quello tecnologico.
Parliamo di un momento storico particolare, in cui c’era da risollevare una economia distrutta dai danni provocati dal secondo conflitto mondiale. Ma non si erano parlato del COVID come di una guerra?