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Giuseppe Croce
Sapienza Università di Roma

Modello umbro e pregiudizio anti-urbano

4 Mag 2022
Tempo di lettura: 3 minuti

Siamo ormai entrati in pieno in una fase della programmazione regionale che, per ammontare complessivo e ambizioni dichiarate degli investimenti previsti, si può a ragione definire straordinaria. Gli investimenti, finanziati principalmente con le risorse europee del NextGeneration EU e dei Fondi comunitari relativi al periodo 2021-27, si prefiggono non solo di sostenere la ripresa dopo la distruzione economica causata dal Covid-19 ma, ben più ambiziosamente, di indirizzare e accelerare il cambiamento strutturale dell’economia verso obiettivi di crescita sostenibile e inclusiva. Vale la pena sottolineare che, in una regione come l’Umbria, nella quale al lungo declino economico si è ormai affiancato anche un declino demografico[1], questi obiettivi, prima ancora che ambiziosi, sono di importanza vitale.

Torna ad affacciarsi, in questa delicata fase, una costante del discorso pubblico sull’Umbria che costituisce parte importante del retroterra culturale della sua pubblica amministrazione e quasi un riflesso condizionato delle scelte politico-amministrative regionali.

Secondo tale costante il tratto identitario dell’Umbria sarebbe la piccola scala, l’omogeneità culturale-territoriale, una pretesa minore contaminazione rispetto alle ricadute ‘sporche’ dello sviluppo. Per semplicità si può sintetizzare questo “modello umbro” come quello del “piccolo è bello” ma ovviamente il discorso è più ampio e ramificato. L’Umbria cuore verde d’Italia e, soprattutto, l’Umbria campione dell’Italia mediana, sono altri slogan che esprimono lo stesso modello[2].

Ma questo modello sconta una grave confusione tra quelli che sono i connotati paesaggistici del territorio e la sua realtà socio-economica, e pretende di fare dei primi un criterio normativo, un “modello” appunto, per la seconda. Ribaltato sul piano delle scelte politico-amministrative, si assume che esso rappresenti un’eredità del passato e, al tempo stesso, contenga le risorse per il futuro, il patrimonio da valorizzare e sul quale puntare.

Piccolo è bello, dunque. E piccolo, in riferimento all’Umbria, sta anche per omogeneo, incontaminato, capace di un’innovazione incrementale che si basa sulla trasmissione di saperi tradizionali, e poi un territorio policentrico, con la qualità dei suoi borghi, eterna promessa di uno sviluppo trainato dal turismo e oggi prospettiva resa più moderna dalle possibilità della connessione digitale e del lavoro da remoto.

Sul piano socio-economico “piccolo è bello” è stato uno slogan con una sua ragion d’essere in Italia negli anni Settanta e Ottanta, quando lo sviluppo economico era trainato, a dispetto della crisi del fordismo e della grande manifattura, dai distretti industriali insediati nelle province della Terza Italia.

Ma già in quegli anni i distretti industriali sono stati più un’eccezione, oltretutto in tono minore, che la norma, nella struttura imprenditoriale umbra[3]. Insomma, piccolo non è stato poi così bello in Umbria neanche allora.

Grave confusione dicevamo. Ma cos’è che rende così grave sul piano politico-amministrativo l’immancabile riproporsi del “modello umbro” come tratto identitario regionale? La gravità sta nel fortissimo pregiudizio anti-urbano che ne deriva. Le città vengono percepite come corpo estraneo tanto al paesaggio quanto al modello socio-economico.

Le città, infatti, presentano caratteri evidentemente antitetici al “modello umbro” di cui sopra. In quanto agglomerazioni di persone e capitali, idee e infrastrutture, esse hanno nella dimensione la loro forza. Anche quando non sono metropoli ma città di taglia medio-piccola (quali le principali città umbre), esse sono luogo di incontro (e scontro, ma soprattutto incontro) tra diversità, sprigionano una capacità centripeta che le porta a esercitare un’attrazione sui territori circostanti, tendono a fare rete tra loro, hanno proiezioni esterne lunghe e talvolta globali, che superano i ristrettissimi e artificiali confini di una regione piccola come l’Umbria. Sono luogo di contaminazioni e di innovazioni radicali, dove l’imprenditoria procede non tanto per lascito testamentario quanto si rigenera mediante progetti, sperimentazioni, fallimenti e nuovi tentativi. Le città sono, infine, il luogo dove tutto ciò può provare a mettersi in relazione.

Negli ultimi due o tre decenni il cambiamento tecnologico e la globalizzazione hanno messo in crisi anche il modello dei distretti industriali un tempo vincenti[4]. Anch’essi hanno dovuto ristrutturarsi, superare le dimensioni minime, uscire dalle province e collegarsi ai centri urbani per allacciarsi ai servizi avanzati lì reperibili. L’innovazione incrementale e l’omogeneità socio-economica del territorio hanno cessato di essere risorse sufficienti alla loro tenuta.

Insistere su un preteso modello umbro centrato sulla piccola scala e su un policentrismo sinonimo di frammentazione porta con sé la non comprensione e il rigetto della dimensione urbana. E finisce per lasciar circolare sentimenti di autosufficienza localistica e l’illusione di una crescita trainata dal turismo. Nell’arena politico-amministrativa comporta il mancato riconoscimento delle città principali della regione come attori capaci di recitare in proprio, di contendere visibilità, potere e risorse, a tutto vantaggio ovviamente di un ostinato e mortificante centralismo regionale.

Oggi la crescita sostenibile e inclusiva dell’Umbria è un traguardo che si persegue nelle città oppure rimane uno slogan che alimenta sentimentalismi o, peggio, frustrazione sociale.

 

Note
[1] Calzola L., L’erosione demografica in Umbria, Focus, AUR, 2021.
[2] Sui limiti economici e di politica regionale del modello umbro: Croce G., L’economia della conoscenza: sfide e ritardi dell’Umbria, nel volume (a cura di S. Angeletti e G. Armillei) Poliarchia e bene comune, Il Mulino, 2010, e Piselli P., Fattori strutturali e ruolo pubblico nello sviluppo economico dell’Umbria, nello stesso volume.
[3] Su questo aspetto specifico e per una sintesi delle tendenze di lungo periodo del declino economico umbro si veda Bracalente B., L’economia umbra: dallo sviluppo al possibile declino, Passaggi, II, 2019.
[4] Di Giacinto V., Gomellini M., Micucci G., Pagnini M., Mapping Local Productivity Advantages in Italy: Industrial Districts, Cities or Both?, Journal of Economic Geography, 14 (2), 2014.

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