Focus
Stefano Gatti
UMBRIA RICERCHE (2-3) / SISTEMI URBANI LATENTI
SISTEMI URBANI LATENTI
Città, policentrismo, marginalità
Lo sviluppo insediativo che in questi ultimi anni ha interessato l’Umbria ha creato, seguendo gli andamenti di mercato, una dilatazione dei vari centri abitati scaturita da finalità economiche legate alla rendita e da logiche di utilizzo specialistico del suolo. Non sono state affatto considerate le opportunità per realizzare uno sviluppo dei vari tessuti urbani mirato ad un’integrazione strutturata delle attività socioeconomiche e residenziali che avrebbe consentito la minimizzazione dell’uso di suolo ed al contempo la valorizzazione dei nuclei urbani originari. Una valorizzazione, questa, che avrebbe determinato un incremento della qualità della vita generato dall’innesto, nel possibile sistema urbano integrato, di quelle peculiarità insediative e di scambio relazionale proprie della città che sono la dotazione di infrastrutture fisiche, di insediamenti innovativi, di servizi qualificati, di risorse scientifiche e tecnologiche; sono la facilità di accesso al credito, la qualità del sistema formativo, il know how diffuso, ma anche sistemi di welfare efficienti, la presenza di infrastrutture culturali, ambientali, ricreative e di risorse umane qualificate. (1)
Inoltre, nessun programma di rigenerazione urbana e ancor meno nessun tipo di piano urbanistico, ai vari livelli pianificatori, ha considerato il progetto delle infrastrutture verdi delle città (anche con interventi di tipo clima-adattivo) che consentirebbero di realizzare un sistema di connessione spaziale tra le varie frange degli insediamenti, tra insediamento ed insediamento del sistema, tra questi ed il territorio agricolo. Infrastrutture, quelle verdi, che contribuirebbero al necessario processo di riqualificazione urbana diffusa che deve avere tra i suoi obiettivi anche quello di rispondere alle cogenti sfide odierne quali il consumo di suolo, il mantenimento della biodiversità, la riduzione dell’inquinamento ecc.
Lungo gli assi insediativi regionali principali si assiste, percorrendo la viabilità che attraversa questi territori, ad un susseguirsi più o meno ravvicinato di centri ed insediamenti di servizio (terziari e produttivi) che evidenziano, d’impatto, la mancanza di una logica progettuale complessiva mirata all’equilibrio tra potenziamento, sviluppo e tutela del territorio. È come osservare un puzzle che a mano a mano, nel tempo, si è ampliato, e continua ad ampliarsi, con l’aggiunta di nuove tessere (residenza-terziario-produttivo) poste seguendo una logica localistica e di settore, di pura matrice tecnico-urbanistica, priva di interconnessioni a livello locale ed ancor più disorganica e invasiva se si considera il livello sovracomunale.
Piani anche ben mirati non riescono a superare questa limitazione di natura giuridico amministrativa che impone limiti territoriali d’azione ben definiti e, spesso, troppo ridotti.
La pianificazione regionale si sviluppò, nei primi anni Ottanta, con un fortissimo intento di integrazione territoriale sia in termini di servizi che di mobilità avendo come riferimento numeri (abitanti – addetti ecc.) si, ridotti, ma ancora distribuiti con un certo equilibrio su buona parte del territorio.
Venne elaborato, con una visione particolarmente innovativa, il principio di Città Regione che ben si calava nella realtà regionale di allora.
Ad oggi, di questa visione interconnessa, dinamica, di fluida relazione tra i vari centri principali, insediamenti minori e borghi, di fatto, poco possiamo vivere anche a causa di un sistema infrastrutturale e dei trasporti pubblici carente che non offre quel minimo supporto necessario per rendere fruibile un territorio così concepito.
Il sistema policentrico regionale posto a base dell’originario concetto di Città Regione, così come si è sviluppato sino ad oggi, non è stato quindi in grado di superare le singole realtà locali e di affermarsi come vero e proprio sistema urbano intendendo, con questo, un sistema in grado di offrire le necessarie capacità attrattive, tipiche della città, prima ricordate.
È evidente come solo i centri prossimi alle infrastrutture di collegamento abbiano avuto un potenziamento di attività di natura urbana mentre tutti gli altri borghi, pur vicini a centri importanti, siano a mano a mano diventati sempre più marginali alle dinamiche di scambio socioeconomico, sino a restarne esclusi, perdendo addirittura anche la capacità di porsi come attrattori residenziali.
La necessità di poter usufruire di servizi propriamente urbani e della facilità di accesso alle principali infrastrutture viarie e di trasporto ha portato, per lo inverso, ad un incremento dell’uso di suolo in prossimità di quei centri che possedevano, anche se solo parzialmente, quelle caratteristiche.
Che la pianificazione a livello locale non sia stata in grado di organizzare ed indirizzare tale fenomeno che procede in direzione opposta all’ipotizzata valorizzazione policentrica del territorio viene anche sottolineato nelle premesse critiche alla consultazione dei vecchi piani regionali:
Il concetto di città-regione, alla base della visione strategica del Piano, ha positivamente influenzato la dimensione infrastrutturale e dei trasporti dell’Umbria, ma non ha di fatto contribuito a quel riequilibrio territoriale, inteso come distribuzione della popolazione e democraticità del sistema relazionale, che pure era tra gli obiettivi fissati. (2)
Il Piano non ha risolto alcune criticità croniche del sistema insediativo umbro: le aree marginali hanno “rafforzato” le loro marginalità e quelle forti hanno ancor di più affermato ruoli e primati incontestabili per quantità di popolazione residente, attività produttive insediate, qualità della vita in termini di servizi, e condizioni di accessibilità facilitate per la popolazione residente nelle città maggiori. (3)
Anche nel PTCP troviamo che:
per gli Ambiti della concentrazione controllata necessitano interventi di riorganizzazione modale, la definizione di nuovi assetti viabilistici, la promozione di processi di rilocalizzazione insediativa… e negli Ambiti della concentrazione confermata deve essere garantita la discontinuità fra gli insediamenti ed il mantenimento delle quote di naturalità presenti al loro interno.
Il riferimento è specifico per il sistema insediativo di valle che da Assisi giunge a Spoleto ed indicativamente compreso tra il corso del Maroggia-Clitunno e la fascia pedecollinare ad est. Foligno ne rappresenta la polarità maggiore, ma nella fascia centrale attorno ad essa, è forte una tendenza alla saldatura fra gli insediamenti che dovrebbe essere controllata e sostanzialmente frenata.
A questo fenomeno di saldatura, in crescendo anche in altre zone del territorio, corrisponde l’acuirsi della marginalità dei borghi; sempre più marginali quanto più aumentano, appunto, le difficoltà di accesso ai servizi e agli attrattori in genere che questi insediamenti, a diversi livelli e con diverse potenzialità, riescono ad offrire.
Queste indicazioni di Piano, oltre a confermare le criticità in precedenza evidenziate, mettono in luce una persistenza metodologica mirata al mantenimento, ad ogni costo, di quella visione policentrica del territorio che nella realtà non ha trovato l’atteso riscontro.
Una realtà che vede i borghi sempre più marginali e addirittura, se consideriamo i borghi minori diffusi nel territorio che ne costituivano la storica struttura insediativa, sempre più prossimi ad essere i luoghi di una vera e propria segregazione spaziale.
È vero che in linea di principio può essere corretto, per la tutela paesaggistica, evitare connessioni fisiche tra i diversi centri ma, in realtà, nelle zone che presentano un minimo di tensione abitativa, v’è stato un proliferare di ogni sorta di oggetti edilizi che ha disatteso e vanificato questi assunti teorici e confermato, affatto, come i piani e gli interventi conseguenti siano ancora poggiati su inerzie obsolete assurte a slogan, senza essere oggetto di valutazione e verifica. (4)
Infatti, in realtà, non è possibile “frenare” le dinamiche socioeconomiche in essere e, soprattutto, non è metodologicamente corretto: queste vanno organizzate e pianificate in modo tale che il loro svilupparsi sul territorio porti al risultato prospettato e non viceversa, ossia negarle per mantenere, comunque, un assetto territoriale ipotizzato ma non ben pianificato e governato e che oggi non è più proponibile.
Non sono ipotizzabili processi di rallentamento in termini di flussi socioeconomici, non solo per la situazione di crisi che stiamo affrontando, ma perché questi sono imprescindibili dalla presenza di attrattività che un territorio offre e non possono essere diversamente orientati “per decreto” ma, come evidenziato anche nel PST, indirizzati in una progettualità organica e integrata dai territori. Inoltre, oggi, non è più pensabile, anche per i soli aspetti morfologici, una cesura, di memoria medievista, tra i vari insediamenti e tra questi ed il territorio agricolo la cui persistenza ci ha accompagnato, in linea di massima, sino ai primi anni Sessanta.
Quindi, alla fin fine, ci troviamo a dover constatare una progressiva perdita di identità dei luoghi, l’aumento dei fenomeni di degrado ed abbandono, un affievolirsi della consapevolezza identitaria degli abitanti.
Lo sforzo pianificatorio-progettuale dovrebbe pertanto essere indirizzato verso la ricomposizione, l’organizzazione ed il potenziamento di questi insediamenti di natura urbana che costituiscono veri e propri sistemi latenti proprio a causa della mancanza delle già indicate relazioni territoriali integrate.
La progettualità rivolta a questi brani incompiuti di territorio va quindi necessariamente indirizzata verso una metodologia di ricerca operativa (progetto integrato) che vada oltre l’attuale divisione dei saperi attivando il superamento di questa latenza tramite l’individuazione di dinamiche e relazioni, nonché la progettazione dei loro spazi e dei loro innesti, che consentano il manifestarsi e l’affermarsi della loro dimensione urbana.
Riferimenti bibliografici
1 – Elisabetta Tondini
Economia e luoghi (AUR & S 15/2018)
2/3 – Portale Umbriageo
Piano Urbanistico territoriale -1983
4 – Ambrogio Santambrogio – Mariano Sartore
Nuove rappresentazioni per un nuovo regionalismo. L’Umbria e la sua armatura urbana (AUR & S 20/2020)