Focus
Giuseppe Croce
Le città, opportunità per l’Umbria per uscire dalla marginalità
Negli anni Settanta e Ottanta l’economia umbra rimase in una posizione marginale nell’economia italiana. Era la fase nella quale emergevano come nuovo motore della crescita i distretti industriali, insediati nelle aree ad alta densità imprenditoriale nel manifatturiero di piccola dimensione, nei settori del made in Italy, e fuori dalle grandi città.
I distretti portarono alla ribalta e fecero crescere prepotentemente la Terza Italia, quella delle regioni del Nord-Est e del Centro. L’Umbria, che pure geograficamente era parte di quell’area, rimase però ai margini di quella fase di sviluppo perché sostanzialmente sprovvista di distretti industriali. Né, questi, si potevano creare per decreto. Per quanto animati da comportamenti e istituzioni ben inseriti nel presente, essi erano un’eredità del passato poggiata su un substrato di conoscenze tecniche, attitudini al lavoro e all’impresa e legami sociali sedimentati nel lungo periodo. L’Umbria, pertanto, partecipò a quella fase perlopiù nella forma della subfornitura, dipendente dall’esterno e poco redditizia, marginale appunto.
Il grave declino economico dell’Umbria manifestatosi nei successivi anni Novanta, principalmente determinato dalla debole dinamica della produttività, è anche frutto di quella stagione di marginalità.
Dagli anni Duemila, con l’approfondirsi della globalizzazione e l’avanzare del cambiamento tecnologico, quella struttura produttiva distrettuale si è poi trovata esposta all’offensiva competitiva dei paesi emergenti, lontana dai nuovi flussi di innovazione tecnologica, povera di alcune risorse divenute decisive, come le nuove qualifiche professionali, le capacità manageriali non rinvenibili nella conduzione famigliare, le proiezioni nelle reti globali. Ad ogni modo i distretti hanno saputo far fronte al cambiamento e rinnovarsi e sono evoluti integrandosi con attori esterni e adottando strategie più evolute.
Nel frattempo, nelle economie avanzate è emersa una nuova centralità economica delle (grandi) città. L’innovazione tecnologica, la formazione di nuove idee e imprese, lo sviluppo dei servizi avanzati, la concentrazione di capitale umano sono oggi fenomeni essenzialmente urbani, in quanto si nutrono dei vantaggi offerti dall’ambiente urbano, ovverosia dalla densità e dalla prossimità fisica degli agenti economici. È nelle città che è possibile condividere servizi specializzati e infrastrutture, avere accesso a una grande varietà di input produttivi e professionali, partecipare a uno scambio continuo di informazioni e conoscenze.
Ebbene, in questa nuova fase, l’Umbria (ma con essa, questa volta, gran parte del Centro Italia), in quanto sprovvista di grandi centri urbani, è condannata a rimanere ancora marginale?
Guardando ai dati relativi alla crescita degli ultimi venticinque anni, si sarebbe tentati di rispondere affermativamente. Se la debole crescita della produttività è in parte, come si è detto, frutto della debolezza del manifatturiero ereditata dal passato, per altro verso essa è dovuta al sottodimensionamento del terziario urbano avanzato.
E tuttavia, la risposta a questa domanda deve essere negativa. Oggi non c’è una “condanna” alla marginalità. I distretti industriali erano indissolubilmente legati a una storia locale e a una struttura sociale che in nessun modo potevano essere ricreati altrove. E l’Umbria ne ha sofferto la mancanza. Oggi, invece, in una fase economica centrata sulle città, malgrado l’assenza di grandi agglomerati urbani, è pur vero che centri urbani di media dimensione ce ne sono anche in Umbria (e nel Centro Italia), in particolare i sistemi locali di Perugia e Terni, che si collocano tra i sistemi di media dimensione del Centro Italia, compresi tra i 100mila e i 500mila abitanti (alcuni dati sono già stati presentati nel Focus AUR del 22.2.21).
In questo contesto, allora, la domanda giusta, che è bene mettere a fuoco, soprattutto oggi alla vigilia di una stagione di spesa pubblica straordinaria e con l’ambizione di indirizzare gli assetti e la crescita futura, è la seguente.
Si sta puntando sui centri urbani, su una crescita del loro ruolo e una piena valorizzazione del loro potenziale, per tentare di riavviare la crescita economica dell’Umbria (e del Centro Italia) dei prossimi anni?
L’Umbria che si specchia sempre e soltanto nell’immagine del cuore verde d’Italia, punta solo sulla piccola scala, tende a esaltare i valori dispersi nel territorio, vanta una supposta superiore qualità della vita nei borghi. Ma finisce per nascondere la crisi gravissima che colpisce i centri umbri minori, anche quelli più celebrati e, allo stesso tempo, rischia di perdere di vista la centralità della dimensione urbana e di non entrare nelle partite cruciali che nelle città si giocano. Per questa via, l’Umbria dei borghi è destinata a divenire definitivamente area interna, che può ambire al massimo alla posizione di terminale periferico dei flussi di investimenti, redditi e opportunità, politicamente subordinata alle amministrazioni centrali, dagli assessorati regionali ai ministeri statali. Si passerebbe, così, dalla marginalità della subfornitura a una nuova marginalità.
Al contrario, puntare a far crescere di spessore e di qualità i centri urbani richiede riconoscere loro un ruolo politico nelle decisioni sull’utilizzo delle risorse, non subordinato gerarchicamente al centro amministrativo regionale né chiuso in una logica asfissiante di relazioni intra-regionali. Evidentemente, il centralismo regionale umbro, praticato dalle precedenti giunte di sinistra e riproposto tale e quale da quella di destra, è un serio ostacolo rispetto a questa ipotesi.
La vitalità dei centri urbani umbri richiede infrastrutture materiali di collegamento alla dorsale adriatica, alle altre città medie del Centro Italia, alle reti europee, e ai grandi centri urbani a partire, ma non solo, dal polo romano; infrastrutture immateriali capaci di formare i giovani e far circolare e assorbire conoscenze; e infrastrutture istituzionali capaci di produrre decisioni di rilevanza collettiva. Sebbene città di dimensione media, i centri urbani umbri possono godere, in proporzione della loro dimensione, dei vantaggi dell’ambiente urbano.
D’altro canto, questa centralità delle città non deve essere letta banalmente come una penalizzazione per i centri minori e le aree rurali della regione in una sorta di gioco a somma zero tra città e campagna. Al contrario, città a territori possono sviluppare nuove sinergie. La vitalità delle città dipende innanzitutto dalla vitalità del territorio circostante, del quale esse raccolgono la domanda di servizi. E viceversa, i territori possono avvantaggiarsi in più modi delle ricadute positive di un capoluogo vitale e in crescita.
In questa prospettiva di raccordo tra centri urbani e territori è decisivo compiere anche dei passi istituzionali verso una logica di sistemi urbani integrati. Questo significa sperimentare e consolidare collaborazioni amministrative tra città e centri minori, puntando a forme di integrazione in grado di dar corpo ai sistemi urbani e di generare e valorizzare tutte le possibili sinergie utili.
E’ diffusa la sensazione di trovarci oggi in uno di quei momenti della storia in cui è possibile compiere scelte che possono avere conseguenze di lunga durata e che in altre fasi, più ordinarie, sono precluse. Dopo la profonda crisi da Covid-19, in un momento di ripartenza delle attività e di progettazione richiesta dalla disponibilità delle risorse europee del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è utile mettere in chiaro la posta in gioco e le principali alternative che abbiamo di fronte.
Nelle sue città l’Umbria può ora tornare in partita. È a partire dalle città che è possibile fronteggiare l’invecchiamento e l’impoverimento che da tempo avanzano.
La posta in gioco è la capacità di generare nuovi posti di lavoro di qualità, senza accontentarsi solo di quelli meno qualificati, routinari e a basso reddito, per mantenersi attrattivi verso i giovani, anche quelli istruiti; di avviare nuove attività imprenditoriali anche di tipo innovativo; di migliorare le opportunità e il benessere delle persone.
In definitiva, si tratta di individuare una nuova via per incamminarsi sulla strada della crescita sostenibile.