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Giuseppe Castellini
Giornalista esperto di tematiche economico-territoriali

L’Umbria e il PNRR / 4 – Una discontinuità nella politica economica

3 Mag 2021
Tempo di lettura: 4 minuti

I Piani di ripresa e resilienza regionali, come d’altronde quello nazionale (Pnrr, acronimo orrendo come d’altronde la stessa denominazione che lo origina, cosa acutamente rilevata dal Governatore della Campania De Luca, anche se come al solito a suo modo), si sono trovati stretti tra tempi brevi e la necessità non solo di mettere in campo progetti e interventi che dovranno essere conclusi entro il 2026 – quindi con una cantierabilità accelerata – ma di rispondere anche alla necessità di riposizionare strategicamente il Paese e le sue articolazioni territoriali.

Tra Scilla e Cariddi, insomma. Facendo di necessità virtù la strada seguita un po’ da tutti i Pnrr regionali è stata quella di agire su tre piani:

1) interventi ‘ordinari’ di potenziamento e miglioramento dell’esistente;

2) interventi di rilancio della competitività;

3) progetti ‘caratterizzanti’ – sia verticali che orizzontali – che rappresentino un vero e proprio ‘salto di qualità’ o, meglio, la capacità di far sentire una regione dentro qualche partita vincente.

Il tutto condizionato anche dalla qualità del lavoro progettuale fatto nel frattempo dai territori. Da questo punto di vista nel piano umbro, ma non solo in questo, emerge l’evidenza che ci sono territori più capaci di ideazione e progettazione e altri che lo sono molto meno o non lo sono affatto, offrendo progetti e richieste modeste di fatto chiamando la Regione a un ruolo di supplenza.

Ovviamente, ciò nel quadro di una ‘vision’ che ogni regione offre di se stessa nel medio e nel lungo periodo.

Due, a mio parere, le scelte chiave fatte dalla Regione dell’Umbria, che almeno per la prima cambiano anche vari tratti delle linee di politica economica fatte dalle precedenti Amministrazioni di Palazzo Donini.

A) Una politica organica dell’offerta

L’analisi parte dei nodi strutturali del tessuto produttivo umbro (la sotto capitalizzazione derivante da un eccessivo ricorso al credito bancario e la poca apertura all’equity, il posizionamento sui livelli di basso valore aggiunto delle filiere, la bassa managerializzazione delle medie imprese, la bassa propensione all’innovazione per non dire della spesa in Ricerca e Sviluppo, le dimensioni mediamente troppo piccole e così via) e mette in campo una tastiera organica di interventi di ‘offerta’ che, da un lato offrono opportunità alle attività produttive esistenti, dall’altro puntano a far nascere nuova imprenditorialità, offrendo una sponda più forte rispetto al passato e provando a creare un ‘humus’ più favorevole alle attività economiche all’insegna di innovazione (soprattutto digitalizzazione) e sostenibilità, inserendosi quindi nei driver dello sviluppo su cui punta l’Unione europea e, con il Pnrr, l’Italia. In questo quadro di interventi orizzontali, senza entrare in dettagli visto lo spazio disponibile, segnalo in particolare quelli che guardano a rafforzare la liquidità delle imprese anche attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali avanzate applicate alla finanza, come il progetto Umbria Fintech Exchange, e quelli per rafforzare la patrimonializzazione delle aziende. Strumenti, questi ed altri, adatti ad una attuale realtà di Pmi per lo più piccole come è l’Umbria. E qui emerge il cambiamento di politica economica, più attento a questo tessuto reale di quanto non sia avvenuto in passato.

Con questi strumenti di ‘offerta’ si cerca di far salire la marea, contando che con essa salgano le barche.

B) I progetti ‘verticali’

Su questo substrato di ‘offerta’ relativo al miglioramento della competitività si innalzano tre progetti verticali caratterizzanti, che hanno l’obiettivo di inserirsi in grandi partite vincenti a livello nazionale; la Sustainable Valley, alla base del piano di rilancio del polo chimico di Terni, con l’obiettivo di creare uno dei primi poli industriali decarbonizzati e la specializzazione sulla bioeconomia circolare; il distretto dei nanomateriali realizzato nell’area di crisi ex Merloni, integrato con il network ternano; il Centro Umbro di ricerca e innovazione, con la cittadella della scienza nel settore delle ‘scienze omiche’ e della medicina 4P.

Ci sarebbe anche un quarto progetto, che prevede la costituzione di un distretto della grafica avanzata, dotato di un incubatore e di un’Academy formativa, ma la sua dotazione finanziaria limitata pone seri dubbi sulla reale capacità di essere un progetto ‘caratterizzante’.

In alcuni casi si tratta di progetti ambiziosi, benché legati a specializzazioni che l’Umbria ha, che fanno sorgere la domanda se l’humus economico-produttivo dell’Umbria sia effettivamente in grado di supportarli. E che andranno gestiti con l’occhio alla loro capacità di rappresentare un volano che generi valore aggiunto per il territorio, visto che lo sviluppo oggi si caratterizza sempre più per essere secondo filiere che secondo territori.

Tra i punti critici, la mancanza di un ‘un’idea forte’, di un progetto caratterizzante di tipo B su Perugia. Il capoluogo di regione è vero che sarà beneficiario dei vari provvedimenti di tipo orizzontale, quelli che fanno crescere la marea e innalzano quindi (si spera) tutte le barche. Ma poteva essere l’occasione per un progetto caratterizzante che aiutasse il capoluogo di regione a tracciare meglio le coordinate del suo sviluppo futuro, a lanciare qualche sfida ambiziosa.

Un Piano, quello umbro, che ha una sua coerenza e che non merita certo di essere indicato come un vestito di Arlecchino. Come anche mi sembra ingenerosa la critica di essere poco attento all’apertura interregionale. Piuttosto che realizzare progetti interregionali improvvisati destinati a restare sulla carta, nel Piano ci sono interventi che per loro natura hanno un respiro interregionale. Le attività economiche, le loro filiere – e da poco tempo anche l’Università – finora hanno dimostrato di essere più veloci dei livelli istituzionali e anzi potrebbero essere le prime a trascinare maggiormente le seconde su questo fronte.

Piuttosto, un punto vorrei sottolineare: la necessità di riformare il sistema endoregionale umbro. Una messa a punto aiuterebbe certamente il rilancio della regione e la capacità di fare sistema.