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Luca Baccarelli
Direttore della Cantina Roccafiore - Todi

Vino e arte, potenti attrattori – Una riflessione aperta …. L’esperienza della Cantina Roccafiore di Todi

23 Mar 2022
Tempo di lettura: 5 minuti

La discussione avviata dall’Agenzia Umbria Ricerche sui rapporti tra viticultura e arte in Umbria (Vino e arte, potenti attrattori), sulla possibilità di trasformare le cantine in luoghi d’arte e degustazione, in modo da accrescere l’attrattività turistica della nostra regione intercettando nuovi e maggiori flussi da fuori confine, è una buona occasione per ragionare su questo tema generale, ma anche per far conoscere alcune delle esperienze che su questo versante già si sono realizzate. E che dunque potrebbero essere d’esempio proprio nella prospettiva suggerita da Giuseppe Coco nel suo interessante contributo.

Roccafiore, la nostra cantina situata nella zona di Todi, da tempo è infatti già aperta alle idee, alle novità e all’arte, in linea con una scelta che la mostra famiglia ha fatto da diversi anni. Lo mostra con molta precisione, fin dal titolo, il volume realizzato in occasione dei settant’anni dell’attività imprenditoriale della nostra famiglia, intitolato Aperta e curato, non per caso, dal critico e storico dell’arte Paolo Nardon.

Credo che il curatore abbia colto nel segno mostrando quanto sia importante per noi affrontare il mondo a mente aperta.

Il titolo “A.P.E.R.T.A” infatti è un acronimo che sta per: Architettura, Paesaggio, Enologia, Romanticismo, Territorio e Arte. Tutti questi elementi, a guardare bene, costituiscono una struttura complessa in cui ogni parte si alimenta del rapporto con le altre. Raggiungere un equilibrio come armonica relazione tra le parti è difficile, ma a Roccafiore noi pensiamo di esserci riusciti, basta aggirarsi tra la cantina, il ristorante e l’albergo per cogliere una sintonia tra l’architettura e il paesaggio, con le vigne a fare da cornice allo spazio circostante.

Osservando la nostra cantina, costruita nel 2005 (lo stesso anno della nostra prima annata di vini), si capisce che non è soltanto un luogo di produzione, ma il fulcro di un’attività in cui il rapporto tra le intenzioni che determinano le modalità operative e il risultato finale sono strettamente connesse, in un rapporto virtuoso tra forma e funzione. Per quello che mi riguarda, tra le voci più importanti che determinano la qualità e il successo di attività come quella vitivinicola, il romanticismo ne costituisce un ingrediente fondamentale.

“L’ottimismo è il profumo della vita”, recitava uno slogan molto famoso coniato da Tonino Guerra una ventina d’anni fa. Parafrasando, potrei dire che il romanticismo ne è il suo condimento; della vita intendo, ma anche dell’arte e di ogni forma d’impresa, che senza il motore della passione rimarrebbe sempre statica e immota. Ormai il vino va di moda, come giustamente ha ricordato Coco nel suo articolo, e in molti scorgono delle affinità tra un buon vino e un’opera d’arte, addirittura si potrebbe dire che per gli amanti del vino il piacere che esso produce è paragonabile a quello che in me, ma soprattutto in mio padre Leonardo (appassionato collezionista di opere contemporanee) suscita la vista di un’opera d’arte. La cosa interessante, almeno per quanto riguarda il vino, non concerne solo gli effetti, il piacere e la soddisfazione che produce in noi, ma anche quello che ci sta dietro, ovvero l’insieme di saperi e tecniche produttive, necessari alla realizzazione di un processo produttivo che immagino strettamente affine a quello di un artista.

Fare un vino o un’opera (d’arte), credo, non richieda soltanto un elevato grado di conoscenze tecniche, ma anche la capacità di rendere manifeste tali idee cercando di sfruttare le potenzialità di un vino per esaltarne il carattere o la tipicità. Questa visione conferisce ad un vino una qualità espressiva che per me è quasi un’opera d’arte. Il frutto di questi sforzi d’altro canto non è mai scontato, e raggiungere i propri obiettivi è un’impresa. E comunque proprio l’incertezza del risultato mi fa pensare alla necessità di guardare avanti e porsi obiettivi con un’apertura che è frutto di passione e fatica.

Nel caso del vino, oltre all’abilità e alle conoscenze proprie dell’esperienza e del mestiere, credo sia importante possedere una visione. Quella stessa visione che porta ad immaginare un vino che ancora non abbiamo prodotto, ma del quale ci pare di sentire il sapore. Qualcosa del genere deve provare l’artista quando nel suo studio davanti al cavalletto inizia a lavorare con un‘idea di forma in testa. E comunque, credo me lo abbia insegnato mio padre Leonardo, per fare impresa è necessario un duro lavoro, ma anche talento e vocazione e perfino una certa forma di speranza legata al coraggio. Iannacci direbbe che per cantar bene ci vuole orecchio. Qualcosa del genere, con le evidenti differenze, richiede anche fare un buon vino. In fondo sviluppare le possibilità di interpretazione che offre un singolo vitigno credo sia una forma di espressività paragonabile a quella richiesta per fare un quadro o una scultura. Comunque, per tornare ad A.P.E.R.T.A., tutti gli elementi che il curatore del volume ha voluto sintetizzare nell’acronimo mi pare siano caratterizzati dalla stessa apertura, non soltanto spaziale ma anche sentimentale e intellettuale, quasi fosse la giusta predisposizione ad un rapporto tra me, le cose e le persone, ma anche verso la natura e la cultura. Lo stesso rapporto non banale che sento di intrattenere con la tradizione.

Salvatore Settis in un suo libro recente intitolato Incursioni, parlando di tradizione cita un aforisma attribuito a Gustav Mahler che recita: “Tradizione non è adorare la cenere, ma custodire il fuoco.” Ed è proprio un romantico fuoco di passione quello che anima ogni tipo di impresa. Custodirle nell’aperto è una vocazione che si riconosce anche a mio padre, Leonardo Baccarelli che oltre ad essere un imprenditore è, come accennato, un appassionato collezionista d’arte che per dare sfogo a queste sue passioni negli anni ha raccolto una nutrita collezione di opere d’arte, commissionando ad importanti artisti contemporanei una serie di opere  in cui le cassette di legno – quelle che si usano, per intenderci, per contenere le bottiglie di vino – sono diventate la “tela” degli artisti da utilizzare a seconda della loro ispirazione per creare un’opera unica nel suo genere. Queste opere, secondo la felice definizione dell’artista amico Bruno Ceccobelli, sono “Scrigni d’autore”: effettivamente esse sono diventate i contenitori delle preziosità dell’arte, in cui il vino fa capolino come una presenza silenziosa.

Date queste affinità tra arte e vino mi piace pensare alle cantine, non solo a Roccafiore, ma anche a molte altre, non soltanto come a dei semplici contenitori, dei luoghi in cui si fa e si conserva il vino, quanto piuttosto a spazi accoglienti, suggestivi, se non proprio gallerie o musei, di sicuro luoghi piacevoli dell’accoglienza, dell’apertura agli altri. Dei luoghi in cui fare anche cultura.

Per rendere maggiormente fattivo questo connubio tra arte e vino, sarebbe interessante organizzare mostre in cantina, conferenze sull’arte e degustazioni. Noi a Roccafiore abbiamo in animo di organizzare (nel recente passato lo abbiamo fatto, ma in modo episodico) delle visite guidate alla nostra collezione. Potrebbe essere un’esperienza interessante sia per gli amanti dell’arte che del vino. D’altronde sempre più spesso chi ama l’arte finisce per amare anche il vino, e viceversa. Sembra infatti che l’appagamento del gusto e dello sguardo convergano in un’esperienza multiforme e appagante, ricca di spunti di piacere e conoscenza.

E’ la ragione per cui la proposta di Aur ci convince. Ed è una proposta che non può riguardare un solo produttore e una sola cantina. Conosco personalmente molti colleghi che condividono la mia visione di una sinergia sempre più stretta tra vino, arte, cultura e turismo, considerati come fattori che insieme possono contribuire grandemente alla crescita di un territorio e, in generale, dell’Umbria.

Spero dunque che questa idea possa avere corso ed essere sviluppata. Noi abbiamo già iniziato.

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