Focus
Giuseppe Coco
Vino e arte, potenti attrattori
Premessa
Negli ultimi trent’anni la qualità del vino italiano è cresciuta moltissimo andando incontro alle richieste dei suoi estimatori. Il prodotto è divenuto meno pesante di un tempo, più leggero, più elegante e di moda. Di fatto sono ormai lontani i tempi in cui contribuiva in modo significativo principalmente all’apporto calorico del contadino che, per giunta, non si sarebbe mai sognato di far roteare un grosso calice con 2 dita di prodotto per scomporne i profumi e gli aromi.
Dallo scandalo del metanolo in poi l’Italia, con le sue regioni, ha conquistato, anno dopo anno, un ruolo sempre più centrale nell’universo del vino al punto tale da diventare il principale produttore a livello mondiale. La quota di mercato nell’annata 2019-20, per fare un esempio, si è attestata al 16,7%; la grande Francia e la Spagna sono indietro occupando il secondo e terzo posto, con una produzione pari rispettivamente al 14,3% e all’11,7% (Istat 2020).
Di fatto la crescita vertiginosa della qualità abbinata alla grande capacità produttiva ha fatto sì che il vino diventasse uno dei nuovi simboli della cultura del bel Paese, portandosi dietro un significativo incremento dei flussi turistici legati all’enoturismo che fa molto bene al sistema economico nel suo complesso.
Le cantine, l’arte e i turisti
Fare un vino è un po’ come mettere in piedi un’opera d’arte. In entrambi i casi alla base c’è una trasformazione figlia di un concetto di creazione che si muove lungo un registro di unicità di quello che si realizza. I primi artisti di una cantina sono i loro agronomi e i loro enologi. Ma non è tutto. Se il vino può essere considerato arte, le cantine – ovvero i luoghi dove lo si produce – quando vengono costruite in una certa maniera possono diventare dei simboli, dei poli di riferimento per tutto ciò che è arte in generale. In altre parole, possono trasformarsi in nuove cattedrali capaci di veicolare concetti in grado di durare nel tempo. Più nello specifico, quando le cantine riescono ad evolversi anche in questo, diventano potenti attrattori turistici e il perché è facilmente intuibile: l’arte in sé, da sola, è un fortissimo pretesto di visita per le persone. È un booster formidabile per il turismo. Un booster di cui l’Umbria ha bisogno se vuole sfruttare appieno le sue potenzialità e ambire a raggiungere quella soglia di 10 milioni di presenze che sarebbe l’optimum di cui abbiamo spesso parlato (Turismo 2021: l’Umbria tra primati e centralità dell’immagine – Turismo: l’upgrading delle aspettative).
L’Umbria per ragioni morfologiche non può contare sulla forza del mare d’estate e della montagna per sciare d’inverno, ma può e deve esaltare certe sue caratteristiche. E quella della valorizzazione delle cantine quali nuovi luoghi dove una certa arte trova casa per esprimersi è una strada che andrebbe percorsa con convinzione. È chiaro che c’è una necessità di trovare le risorse da investirci ma, in genere, quando i progetti sono buoni quello delle risorse è un problema che si risolve.
Va anche detto, per completezza di analisi, che alcuni esempi che vanno in questa direzione non mancano. Però non sono molti. Pescando nella memoria a breve di chi scrive, e senza la pretesa di voler dare un quadro esaustivo, si può citare l’esperienza delle cantine Lungarotti che hanno sentito l’esigenza di far nascere un museo del vino, il Muvit. Si può citare l’investimento della famiglia Lunelli – i signori dell’etichetta Ferrari per capirci – che a Bevagna hanno realizzato una cantina che è essa stessa un’opera d’arte: il “Carapace”, realizzato dall’artista Arnaldo Pomodoro e che si inserisce perfettamente nello spirito francescano di quelle terre.
Un’ultima considerazione. Potrebbe essere un esperimento pilota importante che va nella direzione appena auspicata quello di organizzare per l’estate 2023 una mostra sull’arte contemporanea diffusa tra le principali cantine umbre. Una mostra dove poter ammirare – in contesti non proprio usuali – dalle opere del maestro Venanti a quelle dei tanti giovani artisti che hanno bisogno di più spazi per mettere in mostra i loro talenti. Una mostra dove con un biglietto unico poter vivere l’esperienza dei musei che escono dai musei per abbracciare le cantine umbre. E poi ai turisti meno mordi e fuggi, oltre a omaggiarli del ticket d’ingresso, si potrebbe pensare di regalare loro anche una notte di soggiorno in più ogni 4 o 5 usufruite. D’altronde, l’attrattività turistica passa anche per certe strategie di marketing che potrebbero favorire un significativo quanto fondamentale incremento della permanenza media dei turisti con destinazione Umbria.
L’identikit del vino umbro
L’Umbria ha una grande tradizione vitivinicola dove non manca né il rispetto delle tradizioni e né il coraggio di innovare. Molte aree possono vantare di avere un grande terroir e, senza l’ambizione di voler essere esaustivi, facciamo qualche esempio.
L’area di Montefalco produce due importantissimi vini: a) il Sagrantino, che progressivamente ha conquistato grosse fette di estimatori ed oggi è ormai considerato a pieno titolo uno dei grandi rossi italiani; b) il Montefalco Rosso che, con la sua prevalenza di uve Sangiovese, non ha nulla da invidiare ad altri vini del centro Italia molto apprezzati dagli stranieri.
L’orvietano, dove i vini bianchi possono beneficiare di un microclima unico che favorisce la formazione di muffe nobili che non mancano di impreziosire il prodotto.
Lo spoletino, che si sta mettendo in mostra per i suoi bianchi, il Trebbiano in particolare.
Le aree di Narni e Amelia, che con il loro Ciliegiolo stanno facendo molto bene.
Torgiano, dove il Sangiovese sembra trovarsi proprio a suo agio e il risultato è ottimo.
Todi, che esprime un Grechetto che ha una grande vitalità apprezzata sempre più a livello internazionale.
Il Lago Trasimeno, la cui icona è senza dubbio il Gamay che appartiene alla famiglia delle Grenache.
Nella tabella 1 vengono riportate tutte le denominazioni umbre, ovvero quelle classificazioni normative che identificano i vini in base a determinate peculiarità qualitative/organolettiche che offrono in modo chiaro al consumatore le informazioni necessarie per comprendere con che vino ha a che fare.
Tab. 1 – Umbria – D.O.C., I.G.T, D.O.C.G.
Le quantità prodotte
Focalizzando l’attenzione sulla produzione totale (grafici 1, 2, 3) si vede che siamo di fronte a numeri molto importanti che assumono ancor più valore considerando che i produttori umbri stanno scommettendo sempre di più sulla realizzazione di vini di qualità che, come si sa, richiedono spesso un certo sacrificio delle quantità prodotte.
Grafico 1 – Produzione di vini D.O.P. e I.G.P. in Umbria dal 2015 al 2021 (ettolitri e variazione % annua, scala destra)
Fonte: elaborazioni Aur su dati Istat
Grafico 2 – Produzione in Umbria di vini bianchi, rossi e rosati D.O.P. (ettolitri)
Fonte: elaborazioni Aur su dati Istat
Grafico 3 – Produzione in Umbria di vini (bianchi, rossi e rosati) I.G.P. (ettolitri)
Fonte: elaborazioni Aur su dati Istat
La struttura produttiva delle aziende vinificatrici umbre, che nel terzo trimestre 2021 erano circa 1.350, è di piccole e medie dimensioni e oltre la metà di queste produce meno di 100 ettolitri all’anno. Le cantine che nell’annata 2020/21 hanno fatto vino biologico erano circa 50 ed hanno prodotto 16.795 ettolitri.
I valori dei vigneti
Il vino – oltre ad essere una sorta di macchina del tempo che ci riporta indietro nelle stagioni – è un descrittore geografico che ci parla dei territori dove viene prodotto. Territori che ovviamente non sono tutti uguali: ce ne sono di più vocati e di meno vocati. Sotto questo aspetto l’Umbria appartiene sicuramente ai territori più vocati. E non bisogna farsi ingannare dalle quotazioni medie non esaltanti dei suoi vigneti (tabella 2).
Tab. 2 – Valore medio dei vigneti per ettaro in euro per regione (2019)
Fonte: inumeridelvino.it su dati Crea
La regione a livello vitivinicolo è uno scrigno dalle grandi potenzialità in grado di esprimere vini di qualità e soddisfazione. Uno scrigno che per molti aspetti è ancora da valorizzare appieno nelle sue enormi potenzialità. E molto probabilmente sta proprio in questo la differenza di valore dei vigneti umbri rispetto a quelli di regioni come l’Abruzzo, la Liguria, l’Emilia-Romagna, la Valle D’Aosta.
Ad ogni modo, a consuntivo non si può non marcare che la qualità del vino umbro è in grande crescita e questo alla lunga finisce con l’incidere, per forza di cose, sul valore dei suoi vigneti. Quest’anno, ad esempio, i vini che possono vantare il massimo riconoscimento dei “Tre Bicchieri” assegnati dalla notissima guida “Vini d’Italia” del Gambero Rosso sono saliti a 15, che rappresenta il record di sempre. Più in generale, tutti gli addetti ai lavori non mancano di evidenziare i passi avanti fatti dal vino umbro che riscuote sempre più consensi a livello globale. Fra l’altro, questo è emerso con chiarezza anche nel corso di una meritevole iniziativa (12-14 gennaio 2022) ideata dalla Camera di Commercio dell’Umbria, dove in una tre giorni sono stati degustati 176 vini di 58 aziende vitivinicole in rappresentanza di tutta la regione.